domenica 27 ottobre 2013

Il PD, Renzi, la Leopolda ed il futuro dell'Italia

Quante volte ognuno di noi ha creduto in qualcosa o in qualcuno?
Quante volte si è vissuta la successiva delusione?
E quanti di noi subito dopo si sono affidati ancora e hanno riposto le proprie speranze in un'idea?
Ecco, il mio spirito in questa fase è questo!
Deluso decine di volte ma sempre convinto che la partecipazione alla vita sociale, l'impegno politico ed il lavoro quotidiano possano migliorare la qualità della nostra società. Per questo, nonostante sappia fin dal principio che possa essere deluso, perché ce ne sono tutte le condizioni, andrò a votare l'8 dicembre alle primarie del PD e voterò per Matteo Renzi.
Voterò per Matteo Renzi perché credo, ancora una volta, in quella voglia di partecipazione e di rinnovamento che emergono dall'incontro della "Leopolda"; credo sia il "carburante" giusto per portare il nostro paese nel futuro. 
Qui ci sono troppe caste, troppi piccoli e grandi privilegi, troppe tutele per chi è già tutelato e nessuna tutela per chi è in difficoltà. Il nostro è un paese bloccato da decenni! Bloccato a causa di piccole e grandi concessioni che uccidono la competizione e tagliano fuori alcune generazioni dal futuro, ne mortificano la speranza di costruirsi un domani.
Un paese che mortifica i propri giovani, che li costringe ad emigrare, che consente al figlio del notaio di fare il notaio, al figlio del magistrato di fare il magistrato, al figlio del militare di fare il militare, al figlio del farmacista di fare il farmacista, al figlio del tassista di fare il tassista.
Ognuna di queste categorie (e sono solo alcune), consultata, parlerà dei propri sacrifici, dei propri investimenti, del proprio lavoro e delle difficoltà connesse. Ma nessuno di questi si confronterà o si metterà nei panni del figlio del lavoratore monoreddito o del discoccupato. Questi è costretto a rinunciare al proprio futuro perché non può permettersi di investire su se stesso. Questo è il paese del nepotismo. Questo è un paese che premia la nascita e non premia la capacità, l'abilità. E' questa voglia, che è pienamente di sinistra, quella che ha spinto molte persone a votare il M5S ed oggi a sperare nella ventata di novità che potrebbe portare Matteo Renzi.
Ma, ce sempre un "ma", c'è il rischio concreto di cambiare tutto per non cambiare niente. Lo dico perché vedo chi sostiene, almeno a livello locale, Matteo Renzi. Sono quelli che tentano di ricollocarsi soprattutto per effetto della crisi del Centrodestra.
Spero, quindi, che Matteo Renzi, mio coetaneo, comprenda appieno l'occasione che ha; che non la sprechi portando a bordo coloro che sono portatori delle istanze o degli interessi che si vuole abbattere. Sono soltanto zavorra da gettare a mare.

martedì 13 agosto 2013

Il diritto all'informazione

L'articolo 21 della nostra Costituzione recita testualmente che: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Non si può essere soggetti ad autorizzazioni o censure". Il tema del diritto all'informazione è divenuto, a mio avviso, fortemente di attualità per la questione che ha visto protagonista il presidente della seconda sezione della Corte suprema di Cassazione, Antonio Esposito. Costui, fino a qualche settimana fa un illustre sconosciuto, ha avuto la "colpa" di confermare la condanna del senatore Silvio Berlusconi nel processo cosiddetto "Mediaset". Un processo che vedeva Silvio B. imputato, poi condannato con sentenza definitiva, per aver "utilizzato un sistema di false fatturazioni finalizzato alla costituzione di fondi neri per la società Mediaset". 
Il 1° Agosto scorso il giudice Esposito pronuncia la sentenza di condanna di Silvio Berlusconi confermando quanto disposto dalla Corte d'Appello del Tribunale di Milano. Subito dopo la sentenza inizia la campagna di stampa de "Il Giornale", quotidiano nazionale di proprietà della famiglia Berlusconi, che, secondo dati del 2012, è al 12° posto tra i giornali più letti in Italia con una tiratura media 220.386 copie. 
Il 3 Agosto viene pubblicato, sul quotidiano della famiglia Berlusconi, un articolo, a firma di Stefano Lorenzetto (http://www.ilgiornale.it/news/interni/940829.html), intitolato "Così infangava Berlusconi il giudice che l'ha condannato - Antonio Esposito parlò di presunte gare erotiche del premier con due deputate del Pdl. E anticipò la condanna di Vanna Marchi che emise due giorni dopo", nel quale si illustrano le affermazione che il giudice Esposito avrebbe rilasciato, in situazioni conviviali, alle persone presenti ad una cena, tra cui il giornalista autore dell'articolo.
Il 6 agosto esce l'intervista de "Il Mattino" al giudice Esposito (http://www.ilmattino.it/primopiano/politica/condanna_berlusconi_intervista_esclusiva_giudice_esposito/notizie/312467.shtml) nella quale pronuncia la frase ("Noi potremmo dire: tu venivi portato a conoscenza di quel che succedeva. Non è che tu non potevi non sapere perché eri il capo. Teoricamente, il capo potrebbe non sapere. No, tu venivi portato a conoscenza di quello che succedeva. Tu non potevi non sapere, perché Tizio, Caio o Sempronio hanno detto che te lo hanno riferito. È un po’ diverso dal non poteva non sapere") che scatena il putiferioIntanto si moltiplicano gli articoli de "Il Giornale" sulla vita, sulla carriera e sui doppi incarichi del giudice Esposito.
Ora la questione che mi pongo è molto semplice. E' mai possibile che il quotidiano della famiglia Berlusconi faccia solo e sempre campagne di stampa nei confronti di chi "tocca" in qualche modo Silvio Berlusconi? Sarà sicuramente un caso, ma bisogna ammettere che è veramente strano!
Il giudice Esposito, che avrà certamente qualche difetto o commesso qualche impudenza nella sua vita, che so, una multa per divieto di sosta, un parcheggio non pagato, è solo l'ultimo di una lunga serie di personaggi che avevano la doppia caratteristica di essere oggetto di inchiesta giornalistica da parte de "Il Giornale" ed essere protagonisti di un confronto politico, giornalistico o giudiziario con Silvio Berlusconi.
Il 28 agosto 2009, "Il Giornale", a seguito delle critiche rivolte da Dino Boffo, in qualità di direttore di "Avvenire", al Presidente del Consiglio Berlusconi, pubblica un certificato del casellario giudiziale da cui risulta una condanna di Boffo per molestie e un documento (presentato come un'informativa della polizia) che diffonde la voce sulla presunta omosessualità dello stesso Boffo. Questa voce, attribuita al Tribunale di Terni, viene però smentita dal GIP di Terni. Il 4 dicembre 2009 il direttore de "Il Giornale, Vittorio Feltri, deve pubblicamente ritrattare con un articolo pubblicato sul medesimo quotidiano. Il 26 marzo 2010 il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti di Milano sospende per sei mesi Feltri dall'albo dei giornalisti per le false accuse a Boffo.
Il 3 ottobre 2009 viene emessa la sentenza di primo grado per il "Lodo Mondadori". La Fininvest di Berlusconi deve risarcire 749.995.611,93 di euro alla CIR di De Benedetti per "danno patrimoniale da perdita di opportunità di un giudizio imparziale". A pronunciare la sentenza è il giudice Raimondo Mesiano. Per questa ragione sarà "inseguito" dalle telecamere di “Mattino 5″, programma della prima rete Mediaset, per [di]mostrare la sua eccentricità reo di indossare calzini azzurri e mocassini bianchi (proprio così!). Per questo servizio Claudio Brachino, direttore responsabile della testata giornalistica del gruppo Mediaset Videonews, è stato sospeso dall’ordine dei giornalisti per 60 giorni. Anche "Il Giornale" per due giorni consecutivi dedica la prima pagina a Mesiano.
Nell'agosto 2010, dopo la nascita del gruppo Futuro e Libertà e la crescita del dissenso nei confronti della linea di Berlusconi nel PdL, Gianfranco Fini è al centro di un'aspra campagna di stampa, capeggiata proprio dai quotidiani "Il Giornale", "Libero" e dal settimanale "Panorama". Oggetto della campagna è un alloggio di 45 m² a Monte Carlo lasciato in eredità dalla contessa Anna Maria Colleoni ad Alleanza Nazionale nel 1999. Tale alloggio, venduto dal partito nel 2008 ad una società off shore dell'isola Santa Lucia, per la cifra di euro 300.000, risultava affittato con regolare contratto all'imprenditore immobiliare Giancarlo Tulliani, fratello minore della compagna del Presidente Fini. Il 30 luglio viene presentata una denuncia da Storace e la Procura di Roma apre un fascicolo sulla vicenda, quale atto dovuto: l'indagine è contro ignoti. Il 26 ottobre 2010 la Procura di Roma annuncia che non risulta esserci nessuna frode nell'affare, e chiede l'archiviazione delle indagini su Gianfranco Fini. Il 27 gennaio 2011 il ministro degli Esteri Franco Frattini, rispondendo ad un'interrogazione parlamentare, si pronuncia in Senato in merito ad alcuni documenti arrivati alla Farnesina dall'isola caraibica di Santa Lucia dicendo che «il primo ministro di Santa Lucia gli avrebbe certificato l'autenticità del documento» che testimonierebbe come Giancarlo Tulliani sarebbe il proprietario di una società che deterrebbe il bene, ma forti dubbi sono emersi successivamente sull'autenticità di questo documento caraibico, anche in relazione al particolare attivismo intorno a tutta la vicenda del faccendiere Valter Lavitola, legato proprio a Silvio Berlusconi. In seguito la Procura dichiarerà che il contenuto della carta proveniente da Santa Lucia appare del tutto irrilevante ai fini delle indagini, confermando quindi la richiesta di archiviazione. La richiesta fu accolta dal presidente dei Gip del Tribunale di Roma che ne dispose l'archiviazione.
Soprassediamo dal citare gli articoli che "Il Giornale" dedicato ad Ilda Boccassini perché questo post diventerebbe un romanzo.
A questo punto mi sorge qualche dubbio.
E' applicabile in questi casi il diritto d'informazione?
La possiamo definire informazione? 

domenica 11 agosto 2013

Un paese senza speranze

E' da qualche mese che non scrivo più su questo blog. Ho sempre pensato che per riflettere bisogna stare in silenzio. Per questo, oltre ad essere impegnato con il lavoro (molto più fortunato di tanti miei connazionali), non avendo molto da dire, ho riflettuto ed ho osservato quello che accadeva in questo paese.
La nascita del governo "schifezza" (nel senso che, a mio modestissimo avviso, un governo con Gasparri, Biancofiore, Gelmini, Brunetta e, per l'appunto, Schif...ani, senza nominare Lui, non può che essere un governo Schif...ezza), anche se unico possibile in quel momento, sempre grazie al voto di noi Italioti (idioti!) (senza dimenticare il sistema elettorale affetto da strabismo non certo di Venere), è stato indispensabile per consentire a questo paese di "sbarcare il lunario" ed evitare una pericolosissima deriva di ingovernabilità.
Tra l'altro, senza tornare a quella fase politica "drammatica", già ampiamente trattata su questo blog nei post precedenti, le scelte del PD nella gestione della fase post-voto fino all'elezione del Presidente della Repubblica, hanno consegnato il partito di maggioranza parlamentare, assoluta alla Camera e relativa al Senato, ad avere un ruolo di forte debolezza politica, da comprimario in questo governo, nonostante i numeri. Una debolezza politica che viene da lontano e che è necessario, quanto prima, superare con un passaggio definitivo: un Congresso "ricostituente" (veramente ce ne vorrebbe uno costituente, non lo ha mai celebrato).
Berlusconi ed i suoi hanno sfruttato questa debolezza politica per incunearsi nel campo avversario e divaricare le varie anime del PD sia sulla formazione del governo sia sulle politiche del governo. La battaglia per l'IMU sulla prima casa, che ha un valore puramente simbolico, è un formidabile spot elettorale per il centrodestra. Infatti, comunque vada sarà un loro successo politico. Se si abolisce "tout court" l'IMU sulla prima casa sarà un successo di Berlusconi (che avrà mantenuto la promessa elettorale). Se non si abolisce l'IMU sulla prima casa sarà stato per volontà del Partito Democratico e, quindi, un cavallo di battaglia elettorale ulteriore per il centrodestra. Vorrei ricordare che stiamo parlando di una partita da circa 4,5 miliardi di euro con un costo medio, per immobile, di circa 75 euro. Ripeto la cifra: 75 euro.
Il punto, però, è che l'IMU colpisce anche le seconde e terze case. Qui si gioca sull'equivoco quando si parla di abolizione dell'IMU. Ascoltando le persone, queste sono convinte che la proposta di abolizione riguardi l'IMU in generale. Per disinnescare il problema, se si vuole usare la furbizia, bisogna abolire l'IMU sulla prima casa, lasciandola solo sugli immobili di pregio. Non si faccia, invece, l'errore di legarla al reddito. L'evasione fiscale la renderebbe ulteriormente ingiusta. Quando gli italiani si ritroveranno l'IMU sulla seconda casa, forse anche più alta del passato, onde garantire lo stesso gettito complessivo, se me accorgeranno. Certo il centrodestra per coprire l'ammanco propone di aumentare le sigarette e/o gli alcolici o, sempre proposta del Pdl, le merendine o, ancora, la sigaretta elettronica (ho nostalgia sincera dei governi Democristiani, lo dico sul serio). Non propongono mica di tagliare la spesa pubblica? Questo perché il disavanzo pubblico italiano (e di conseguenza il debito pubblico italiano) sono aumentati in maniera formidabile negli anni dell'ultimo dis-governo Berlusconi. 
Si veda il grafico estratto dal programma economico (interessantissimo!!) di Fare per Fermare il declino (http://www.fermareildeclino.it/sites/default/files/users/fabio.lazzari/punto02programmacompleto.pdf)

Si noti, in quel grafico, come il primo governo Prodi abbia fatto la più grande azione di taglio della spesa pubblica dal dopoguerra. Poi è arrivato Lui e, come si dice dalle mieparti, "buona notte ai suonatori!".
Contemporaneamente si vedano anche i grafici sotto. Nel primo si può valutare l'andamento del PIL italiano. Nel secondo l'andamento del PIL italiano in confronto a quello dei principali paesi europei.




Tornando alla discussione politica, quello che mi ha indotto a tornare a scrivere su questo blog è l'indiscrezione che, dopo la condanna di Berlusconi (per fatti legati alla sua attività di imprenditore), la figlia Marina sarebbe pronta a prendere le redini del centrodestra italiano.
La sola prospettiva, lo dico con molta chiarezza, consegnerebbe definitivamente l'Italia ad un ruolo di periferia culturale (dopo che economica) dell'Europa. E, se accadesse, questo paese sarebbe senza speranze, una vera e propria Repubblica delle Banane (senza offesa per le Banane!).








venerdì 10 maggio 2013

I diritti civili, la mia IMU

In qualità di elettore del Partito Democratico, nel periodo successivo alle elezioni, ho dovuto ingoiare numerosi rospi. L'ultimo e più grande è stata la formazione del governo di cosiddetta "Responsabilità". Un governo ed un sottogoverno che vedono tra i protagonisti numerosi "impresentabili".
In queste settimane di inizio attività governativa, la posizione di debolezza del PD ha portato Berlusconi ad occupare il campo della proposta politica. Mentre noi stiamo discutendo degli equilibri correntizi, lui ha inviato un messaggio chiaro al proprio elettorato. L'abolizione dell'IMU e la restituzione di quella versata lo scorso anno vengono ripetuti come un mantra dai peones berlusconiani.
Serve, quindi, un messaggio all'elettorato del Partito Democratico. Da un lato bisogna ripetere strenuamente che l'abolizione dell'IMU sulla prima casa per tutti quelli che hanno pagato fino a € 500 e la medesima riduzione per chi ha pagato di più era una proposta elettorale del PD. Dall'altro battere sulla questione dei diritti civili. Lo "ius soli". Le unioni civili. L'abolizione del reato di clandestinità. Il reddito minimo garantito. 
Incalzare la maggioranza parlamentare sulla questione dei diritti, senza abbandonare, ovviamente, i temi più prettamente sociali. Tutto questo sarebbe utile per attenuare il mio disagio da elettore PD.

mercoledì 8 maggio 2013

Lo Statuto del PD e le Primarie

Sabato prossimo si terrà, presso la Nuova Fiera di Roma, l'Assemblea Nazionale del Partito Democratico. L'oggetto ufficiale è la discussione delle dimissione del gruppo dirigente del partito, a partire dal segretario e dal presidente, e la convocazione del prossimo congresso nazionale, come previsto dallo Statuto.
La prima cosa da fare, una sorta di ripasso, è ribadire alcuni passaggi dello Statuto.
All'Articolo 1 (Principi della democrazia interna) recita testualmente: "1. Il Partito Democratico è un partito federale costituito da elettori ed iscritti, fondato sul principio delle pari opportunità, secondo lo spirito degli articoli 2, 49 e 51 della Costituzione. 2. Il Partito Democratico affida alla partecipazione di tutte le sue elettrici e di tutti i suoi elettori le decisioni fondamentali che riguardano l’indirizzo politico, l’elezione delle più importanti cariche interne, la scelta delle candidature per le principali cariche istituzionali". 
All'Articolo 2 (Soggetti fondamentali della vita democratica del Partito) recita testualmente: "4. Tutti gli elettori e le elettrici del Partito Democratico hanno diritto di: a) partecipare alla scelta dell’indirizzo politico del partito mediante l’elezione diretta dei Segretari e delle Assemblee al livello nazionale e regionale; b) partecipare alle elezioni primarie per la scelta dei candidati del partito alle principali cariche istituzionali; c) avanzare la propria candidatura a ricoprire incarichi istituzionali; d) prendere parte a Forum tematici; e) votare nei referendum aperti alle elettrici e agli elettori e prendere parte alle altre forme di consultazione; f) avere accesso alle informazioni su tutti gli aspetti della vita del partito; g) prendere parte alle assemblee dei circoli; h) ricorrere agli organismi di garanzia e riceverne tempestiva risposta qualora si ritengano violate le norme del presente Statuto, quanto a diritti e doveri loro attribuiti".
Quindi, nessuno provi a superare le primarie come metodo di scelta delle cariche di partito! 

domenica 5 maggio 2013

L'orizzonte democratico

Il mancato successo elettorale della coalizione Italia Bene Comune e le dissennate scelte della classe dirigente del Partito Democratico nella fase post elettorale hanno messo in crisi partito. Ne hanno danneggiato le idee fondanti. Quella di un grande partito a vocazione maggioritaria nel campo del Centrosinistra e capace di superare gli schemi del '900. Quella di andare oltre la fusione di due partiti e capace di attrarre pezzi di società.
Ma per fare questo c'era bisogno di una nuova classe dirigente. Non possiamo chiedere ad un anziano, anche se ci possono essere delle eccezioni, di spiegarci le innovazioni tecnologiche di internet. Così non possiamo chiedere alla classe dirigente che ha vissuto a cavallo della caduta del muro di Berlino di guidare il partito nel terzo millennio.
La frattura più profonda non è tanto ideologica o, a dir meglio, ideale. La frattura è generazionale. La nuova generazione di leader politici del PD, quelli usciti dalle primarie per intenderci, pur con valutazioni diverse pongono due temi assolutamente condivisibili e comuni:
1) Aprire il partito alla società facendo entrare quanto di buono e nuovo vi è presente. Un flusso che inondi il partito senza protezioni corporative. Che lo contamini veramente. Con dinamiche automatiche di rinnovamento. Che continui ad utilizzare le primarie come strumento di selezione della classe dirigente. Che questo, però, non significhi trasformismo. Personalmente vedo, come penso tutti, il passaggio di singoli soggetti da uno schieramento all'altro a seconda del vento. Bisogna mettere un freno a queste dinamiche.
2) Il senso di appartenenza. Un sentimento antico e poco di moda nell'epoca del trasformismo. Nell'epoca di chi fonda un nuovo soggetto politico ogni qualvolta c'è un dissenso. Tutti parlano di cambiare il Partito Democratico senza fondare un nuovo soggetto. Anche quando lo scontro è duro. Anche quando a confrontarsi sono idee anche profondamente diverse.

Temo, però, che il lavoro sarà molto più duro del previsto. L'azione restauratrice della classe dirigente degli "ex", quelli che intendono chiudere il partito in questa fase, quelli che vogliono mettere da parte lo strumento delle primarie, rischia di svuotare il partito dai suoi elettori.
Per questo non si potrà fare nessun passo indietro e sarà necessaria la massima partecipazione possibile. Chi strappa o brucia la tessera e abbandona il partito ha già perso. 

sabato 4 maggio 2013

E' colpa dello Stato o facile vittimismo?

In questi giorni è esplosa forte l'avversione nei confronti dello Stato, nei confronti della classe politica di questo paese.
A partire dall'evento che ha visto tristemente protagonista uno squilibrato (Preiti) e due carabinieri durante il giuramento del Governo Letta domenica 28 aprile scorso, molti hanno cercato la giustificazione di quel gesto nell'assenza dello Stato. 
Il 1 maggio scorso, un muratore di Albanella, comune in provincia di Salerno, si è suicidato a causa della perdita del lavoro. I familiari hanno fatto scrivere sul manifesto "Da parte della famiglia Carrano: tutto questo a causa dello Stato. Grazie".
Domani potrà accadere che qualcuno tenterà di giustificare i femminicidi di questi giorni come esplosione repressa della rabbia sociale nei confronti dello Stato che si manifesta ai danni del soggetto più debole.
Quanti, in questi giorni, pur condannando i tragici eventi del giorno del giuramento del governo Letta, hanno tentato di ricercare le ragioni, se ce ne sono, per le quali è maturata l'intenzione di Preiti di commettere quel gesto efferato, sono stati oggetto di fortissime critiche. E' stato evocato il giustificazionismo del periodo brigatista da parte di pezzi del Partito Comunista.

Lo dico con chiarezza. Non esistono giustificazioni alla violenza. Non possono esistere. Gli inquirenti devono agire con durezza nei confronti di questi soggetti per evitare che si ripetano altri gesti folli. Ma la politica deve analizzarne le ragioni. Se ci sono, deve rimuoverne le cause. Deve, soprattutto, agire con politiche che rimuovano il senso di abbandono e frustrazione che ha colpito tantissimi cittadini di questo paese. E' in questa parte di società che, ahimè, si trovano focolai di giustificazione degli atti compiuti da quello squilibrato.
Però una cosa va detta. Poco di moda. E' facile prendersela con lo Stato. Inveire contro la classe politica che, egoista, vive al di sopra di tutto e di tutti. Ma lo Stato siamo noi.
Lo Stato è chi paga le tasse e chi non le paga perché non le vuole pagare.
Lo Stato è chi fa la raccolta differenziata e chi abbandona rifiuti in strada.
Lo Stato è chi rispetta la legge e chi delinque.
Lo Stato è chi vota e chi non vota.
Lo Stato è chi nel votare cerca la persona perbene e chi nel votare cerca la persona che più può servire al suo scopo, anche se illecito.
Lo Stato è chi rispetta la legge e chi non la rispetta.

Per queste ragioni la classe politica, che per le elezioni politiche non possiamo neanche selezionare per colpa di una legge barbara, rappresenta tutti noi. Nel bene e nel male.
Molto spesso alla base di questi suicidi o fatti di cronaca ci sono fallimenti personali, scelte familiari sbagliate, eventi tragici, abitudini dissennate.
E' troppo facile scaricare le responsabilità sugli altri. Su questa entità astratta che è lo Stato.
Voglio portare qualche esempio a supporto di questa tesi.
Siamo a Cervino, una cittadina in provincia di Caserta di circa 5000 abitanti. Si vota per il candidato sindaco del Comune. Si ripresenta il sindaco uscente, eletto a maggioranza quattro anni prima. Nel suo primo mandato, tra le varie cose, si è distinto per la scarsa trasparenza amministrativa e per aver fatto un concorso pubblico per un solo posto di vigile urbano vinto dal figlio. Una cosa che in un paese normale non poteva neanche essere pensata e che, qualora fosse avvenuta, avrebbe scatenato magistratura, consiglieri comunali di maggioranza e cittadinanza. E che, comunque, di fronte alla sordità dell'amministrazione avrebbe dovuto trovare sfogo nelle urne. Invece, il sindaco uscente rivince le elezioni comunali passando da meno del 40% di quattro anni prima al 52,5%.  Se chiedevi agli elettori perché lo rivotavano nonostante tutto, queste erano le spiegazioni più usate: "Io al posto suo avrei fatto lo stesso per mio figlio disoccupato"; "Ora può fare il bene del paese perché non ha più nessuno da sistemare". Siamo nel 2004 e l'economia italia è ancora florida. Qualche anno dopo questo sindaco sarà vittima di un efferatissimo delitto. Siamo al sud, risponderebbe qualcuno.
Siamo nel Lazio e siamo nel marzo del 2010. Colui che sarebbe diventato presidente del consiglio regionale viene eletto nelle liste del PDL con 22.553 preferenze su 103.131 voti di lista in provincia di Frosinone. Il consiglio regionale del Lazio alla fine del 2012 sarà travolto dagli scandali che porteranno la presidente Polverino alle dimissioni. Famosi gli arresti di Maruccio (Italia dei Valori) e di Fiorito (Popolo delle Libertà). In particolare quest'ultimo, sullo scandalo dei fondi Pdl, dichiarerà che del 'Sistema Lazio' è stato "dominus", garante e architetto, il presidente dell'Assemblea regionale. Nel febbraio di quest'anno quello stesso esponente politico, nonostante lo scandalo in cui è stato coinvolto e sul quale pende un'indagine della magistratura (e per cui ogni cittadino è innocente fino a prova contraria), sarà premiato dagli elettori della provincia di Frosinone con 15.469 preferenze su 73.104 voti al PDL. Risulterà il primo ed unico eletto nella provincia di Frosinone del partito. Sarà poi designato come grande elettore del Lazio per parte della minoranza consiliare. 
Siamo in Lombardia, dopo 20 anni di governo entra in crisi la gestione regionale Formigoni/Lega a causa dei numerosi scandali che hanno colpito i consiglieri regionali ed i componenti del governo regionale, a partire dal presidente. Una serie di scandali che hanno visto protagonisti, con diverse gradazioni, esponenti di quasi tutti i gruppi consiliari. Ma, com'è ovvio, hanno colpito principalmente i partiti di governo con particolare riferimento alla Lega. Nel febbraio scorso i cittadini lombardi confermano a maggioranza con il proprio voto lo stesso asse politico che aveva guidato la regione nei 20 anni precedenti cambiando soltanto il timoniere.
Con questi esempi, se ne potrebbero fare tantissimi altri, voglio testimoniare che la maggioranza di questo paese vive in questo sistema e di questo sistema. Quando si vota   una larga fetta della popolazione, spesso in maggioranza, dimostra di non voler cambiare le cose. Si tende troppo facilmente a giudicare gli altri ed a richiedere loro una moralità che non si dimostra di avere in prima persona. Bisogna tornare, parlo di me, ad impegnarsi per cambiare le cose. A confrontarsi con la società nella quale si vive. L'impegno può essere espresso in tanti modi. Nel lavoro, nelle professioni, nell'impresa ed anche in politica. In poche parole l'impegno deve essere espresso in ogni atto quotidiano. Solo così, mettendo da parte un poco di egoismo, senza dare facili responsabilità allo Stato, si può migliorare la propria vita e quella di chi verrà.

Le colpe del disastro sono chiare


Il disagio esiste ed è profondo. Qui al sud è ancora più avvilente. Non possono essere nascosti gli errori commessi in questi anni dalla classe dirigente politica, imprenditoriale e bancaria. Una classe dirigente che ha vissuto totalmente scollegata dalla stragrande maggioranza della popolazione. 
Penso al rapporto tra la paga media del lavoratore di un'azienda e quello del manager. Nel periodo del boom industriale questo rapporto era nell'ordine di 1 a 10. Oggi il rapporto è di 1 a 10.000. 
Giovedì scorso, seguendo la trasmissione "Servizio Pubblico" su La7, i cittadini di Rosarno in Calabria, nello snocciolare l'avversione nei confronti della classe politica, dichiaravano cifre impressionanti in riferimento alla paga dei politici. Chi parlava di 100.000 euro al mese. Chi di 3.000 euro al giorno. Numeri sballati rispetto alla realtà ma che illustrano chiaramente la percezione della distanza tra il "mondo reale", con i suoi disagi, ed il mondo politico, con i suoi privilegi.
A questo scollamento ha contribuito, in maniera non trascurabile, la legge elettorale esistente per l'elezione dei componenti delle due camere legislative (voluta da una maggioranza composta da Forza Italia, Lega Nord, Alleanza Nazionale e UDC nel 2006 a pochi mesi dalle elezioni politiche). I parlamentari, spesso neanche residenti nei territori in cui vengono candidati, non hanno bisogno di avere alcun legame con il territorio elettorale. Non è più necessario rendere conto agli elettori nel proprio collegio elettorale. Ecco perché la fiducia nei partiti è scesa al 4%.
Di tutta questa situazione bisogna trovare delle responsabilità, parlando chiaro. Dall'undici giugno 2001, giorno dell'insediamento del II governo Berlusconi, all'insediamento del governo Letta sono trascorsi circa 12 anni (4216 giorni). In questo periodo Berlusconi è stato primo ministro per 3070 giorni (pari al 72,82% del tempo). Il PDL (prima del 2008 esistevano Forza Italia ed Alleanza Nazionale) è stato in maggioranza anche durante il governo Monti (durato 529 giorni, considerando anche l'ordinaria amministrazione dopo le dimissioni intervenute nel dicembre del 2012) e, quindi, per 3599 giorni (pari al 85,37% del tempo). Il PD (prima del 2008 esistevano i Democratici di Sinistra e La Margherita) è stato al governo, con Prodi, dal 17/05/2006 al 24/01/2008, per 617 giorni (pari al 14,63% del tempo). Se consideriamo anche la partecipazione alla maggioranza di Monti i giorni al governo per il PD salgono a 1146 (pari al 27,18% del tempo). Questo tralasciando i rapporti di forza all'interno della maggioranza parlamentare del governo Monti. Il PDL aveva un gruppo parlamentare praticamente doppio rispetto a quello del PD.
Ci soffermiamo su questi 12 anni perché, notizia di qualche ora fa, l'economia italiana è arrivata ai livelli del 2001. Da questi numeri si può comprendere come le responsabilità non possono essere equamente distribuite. C'è un chiaro responsabile del disastro italiano.

giovedì 25 aprile 2013

Chiamiamola grande sinistra o centrosinistra, ma facciamolo insieme e senza tabù

Il 20 aprile scorso, dopo la rielezione di Napolitano alla Presidenza della Repubblica, usciva questa agenzia:
"Dopo la ricandidatura di Giorgio Napolitano al Quirinale Sinistra, ecologia e libertà è 'impegnata a ricostruire dalle fondamenta una sinistra di governo': lo ha detto Nichi Vendola in una conferenza stampa a Montecitorio nella quale ha annunciato: 'L'otto maggio a Roma convocheremo la prima assemblea di popolo per lanciare questo nuovo percorso, questo cantiere'. Ai cronisti che domandavano se Fabrizio Barca del Pd convergerà, Vendola ha risposto: 'Tutti coloro che dopo lo schianto del Pd sono interessati, sono benvenuti'. 'Non lavoro e non lavoravo a svuotare il Pd, ci pensa qualcun'altro', ha detto Vendola, 'non lavoriamo ai fianchi del Pd per sfilare due o tre parlamentari, ma siamo curiosi di sapere dove andrà il Pd'. Sel, ha precisato Vendola, intende 'accelerare i tempi' per l'adesione al gruppo del Partito socialista europeo all'Europarlamento". 
Immediatamente dopo questo annuncio veniva sondato l'elettorato sull'ipotesi di un voto con la presenza di due liste a sinistra. Un PD guidato da Renzi ed un partito di sinistra guidato da Vendola, Barca e Landini. Il PD veniva quotato al 35% mentre il nuovo partito della sinistra veniva quotato all'11%. Quindi, elettoralmente, basandoci esclusivamente sui sondaggi, questa scissione porterebbe il Centrosinistra ad una crescita di circa 16 punti percentuali rispetto alle ultime elezioni politiche. 
Il tema vero, però, è quale sinistra vogliamo costruire o ricostruire. Potrebbe convenire  elettoralmente avere due sinistre, ma è giusto? Serve all'Italia ed alla parte di popolazione cui ci si riferisce?
Dico la mia. Non voglio discutere del sistema di valori che unisce tutti noi. Quelli, insomma, della prima parte della costituzione. Quella dei diritti umani, civili e sociali. Quella dell'inclusione sociale. Quella del rispetto delle diversità. Quella della garanzia dei più deboli. Su questo concorderemmo facilmente. 
Non voglio discutere neanche delle forme di partecipazione al partito cui ha dedicato molto tempo il ministro Fabrizio Barca e sulle quali concordo.
Voglio discutere dell'idea di costruire un grande partito delle sinistre. Un partito, non massimalista, che contenga tutte le anime della sinistra. Da quella liberale, a quella egualitaria, a quella socialista o socialdemocratica fino ad arrivare alla sinistra più ideologica ma responsabile.
La mia sinistra si deve proporre come scopo assoluto quello di lavorare per giungere alla reale applicazione di quanto previsto dall'articolo 4 della nostra Costituzione "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto".
Lo dico chiaramente, a me non interessa una sinistra pura che non incida. Che a costo della propria purezza non si ponga il tema del governo. Che non ponendosi il tema del governo deleghi agli altri l'onere della scelta.
Serve una sinistra che, per la stessa nuova articolazione della società italiana, assolva ad una responsabilità profonda e non ideologica. Vendola, ad esempio, pur simbolo di una sinistra molto ideologica, è profondamente diverso dai partiti della cosiddetta Sinistra Arcobaleno. Una Sinistra, quest'ultima, che punta più alla propria purezza che a concorrere alla soluzione dei problemi della società italiana. Una società profondamente diversa da quella uscita dal dopoguerra. La sinistra, quindi, non può essere più quella del '900.
Diciamolo chiaramente ancora una volta. Quella sinistra ideologica massimalista (ed io sono di sinistra) nasce da una società post bellica in cui al tema della crescita economica si doveva far corrispondere il tema delle condizioni di lavoro. Garantire condizioni di lavoro di qualità. Garantire la dignità del lavoro. E' un tema, questo, che si stanno ponendo, ad esempio, nei paesi in via di sviluppo. Dove la crescita economica sta portando, più velocemente che nell'Europa del secolo scorso, ad una richiesta di diritti generalizzati.
Noi, invece, siamo in una società in profonda recessione. Ci sono parti della società italiana, soprattutto giovani e donne, espulse dal sistema produttivo e senza alcuna speranza di rientrarvi a breve. Molti non cercano neanche più lavoro.
Non si può pensare che lo Stato si possa sostituire all'iniziativa privata. Le cosiddette partecipazioni statali sono state fallimentari. Ci vuole uno stato più leggero, più sostenibile. Uno Stato regolatore, non attore, che intervenga, però, quando necessario.
Siamo un paese che vive di spesa pubblica. Lo abbiamo visto chiaramente. La riduzione delle spesa pubblica di questi anni, per effetto soprattutto delle politiche di riduzione del deficit richieste dalla Comunità Europea, ha contratto la circolazione di moneta interna ed ha ridotto i consumi avvitando l'economia italiana in una recessione molto peggiore rispetto a quella degli altri paesi europei. In sostanza in Italia abbiamo avuto una crisi generata sia da fattori internazionali (la crisi del sistema finanziario) sia da fattori interni (la contrazione della spesa pubblica).

Sono anni che nessun governo, l'ultimo è stato il primo governo Prodi, non mette in campo serie politiche industriali nazionali. Il tutto condito da un'altissimo costo del lavoro cui, paradossalmente, corrispondono basse remunerazioni per i lavoratori (si osservi la tabella).
La classifica dell'Ocse sul costo del lavoro
Contribuisce anche un'altissima tassazione che incide su una base imponibile ridotta dalla paurosa evasione fiscale. Questo ha ingenerato un'economia prevalentemente basata sui servizi, che vive di spesa pubblica.
Le uniche aziende che continuano a produrre in Italia, sono quelle del settore del lusso, dell'abbigliamento, del made in Italy. Queste aziende grazie alle  esportazioni non sono in crisi perché concorrono sulla qualità dei prodotti, non sul prezzo.
La mia sinistra deve porsi il problema di migliorare la vita delle persone, di tutte le persone. Invece, la sinistra viene percepita come quella che tende a garantire solo chi il lavoro ce l'ha già.
Non sto dicendo che la mia sinistra debba consentire il proliferare di lavori sottopagati, insicuri e di scarsissima qualità. E' in questo sistema che proliferano i Call Center, in cui i lavoratori sono costretti a lavorare per pochi euro al giorno. E' in questo sistema che vediamo la nascita di tante cooperative di lavoratori all'interno delle aziende per aggirare i vincoli ai licenziamenti. Bisogna rivoltare il concetto di lavoro. Si può aspirare ad un sistema del lavoro che premi i lavori di qualità? Che introduca riduzioni del cuneo fiscale per quelle aziende che migliorano le condizioni di lavoro dei propri dipendenti? Che investono in sicurezza? Che aumentano l'incidenza del costo della manodopera rispetto al fatturato? Che riducono i tempi di pagamento dei fornitori, a patto che la pubblica amministrazione rispetti i suoi?
Ma per fare questo bisogna abbattere qualche tabù. Bisogna accettare la flessibilità del lavoro, quella di qualità e soprattutto accompagnata da un sistema di tutele e di assistenza che accompagni il lavoratore da un lavoro all'altro. Non esistono contratti che, in questa fase, garantiscano il lavoro a tempo indeterminato. Le aziende falliscono ed i lavoratori restano senza lavoro e senza le ultime retribuzioni ed il TFR.
Nessuno, però, può abbattere le forme di tutela dei lavoratori nei confronti dei licenziamenti senza giusta causa. Si può discutere delle conseguenze per l'azienda e per il lavoratore. Il reintegro disposto da un giudice non lo ritengo, oggettivamente e per conoscenza diretta della questione, una soluzione. Cosa diversa è la leva economica. Tramutare il licenziamento del lavoratore in un'indennità, quando non dettato da una giusta causa.
Dobbiamo abbattere i tabù per rimuovere gli ostacoli alla crescita economica ma fare in modo che il benessere conseguente raggiunga tutti.
Lo Stato, dopo una cura dimagrante, deve fungere da regolatore ma non può essere un attore. Ovviamente, per quanto mi riguarda, la Sanità, l'Istruzione e la gestione dei "Beni Comuni" non possono che essere solo pubblici. Non può esserci privato. Non si possono sottomettere questi temi alle dinamiche del mercato e del profitto.
Lo Stato deve, quindi, occuparsi di garantire a tutti i cittadini italiani condizioni minime di sopravvivenza introducendo, ad esempio, il reddito minimo garantito.
Ecco, la mia sinistra dovrebbe essere questa. Dovrebbe lavorare veramente al miglioramento delle condizioni di vita di tutti rimuovendo le cause ostative.
Da queste premesse, per me, dovrebbe rinascere il Partito Democratico.

mercoledì 24 aprile 2013

Il disastro più disastroso

Fra poco tutti noi, che abbiamo votato il Partito Democratico come alternativo al Popolo delle Libertà, ci troveremo catapultati nel "governissimo" politico.
Siamo partiti dal governo Monti, sostenuto da PD-PDL-UDC, e arriviamo ad un governo Letta, sostenuto da PD-PDL-LC. Le uniche novità, in sostanza, sono la presenza di Lista Civica, ovvero la tramutazione politica della parte tecnica di quel governo, e la presenza di ministri politici dei due principali partiti.
E' il gioco dell'oca. C'è, però, una differenza sostanziale. Il governo Monti nasceva dal fallimento del Centrodestra berlusconiano, dopo tre anni e mezzo di governo, mentre il nuovo governo nasce dal fallimento del Centrosinistra bersaniano, senza un giorno di governo. 
In poche parole un disastro!
Ma il "disastro più disastroso" è l'esserci arrivati dopo 60 giorni dalle elezioni, quando l'esito cui si è giunti era ineluttabile fin dall'inizio, a meno che non si preferissero le elezioni.
Le ragioni di quello che è accaduto, sarò ripetitivo, sono da ricercarsi nell'esito delle elezioni primarie per la scelta del candidato premier del centrosinistra. La vittoria di Bersani, infatti, nasceva dal "patto di sindacato" della classe dirigente dei due partiti dal cui scioglimento è nato il PD. Con le parlamentarie, che hanno avuto un limite oggettivo dettato dallo scarso tempo disponibile per organizzarle, si è cercato di ridurre il tasso di conservazione del partito. Questo, in realtà, ha acuito la distanza tra la vecchia dirigenza, con i suoi nominati, e le nuove leve provenienti dalle parlamentarie e, pertanto, con un maggiore contatto con la base. Questa distanza, in realtà, è la conseguenza di una legge elettorale che, dal 2006, non richiede più il legame, la sintonia necessaria tra l'eletto e l'elettore
Tralasciando la gestione della campagna elettorale, che ha vissuto l'esplosione nelle urne delle istanze di cambiamento di cui è stato portatore Renzi alle primarie, si è sbagliata la gestione della fase post-elettorale.
La prima mossa fatta dal centrosinistra, l'elezione dei presidenti delle due camere, è stata straordinariamente positiva. Proporre Laura Boldrini e Piero Grasso, alla loro prima esperienza parlamentare e con storie personali di impegno civile e sociale, ha rappresentato l'indubbio successo di una strategia. Ha messo in crisi l'unità del Movimento 5 Stelle al Senato ed ha parlato ai propri elettori, presenti e passati, fuori dal Parlamento.
Visto il dato elettorale e la sua proiezione parlamentare al Senato, se la strategia, nel senso alto del termine, era quella di perseguire la strada del cambiamento e del rinnovamento bisognava chiedere al Presidente della Repubblica la designazione di un Presidente del Consiglio che non poteva essere Bersani. Proprio per ripercorrere le orme delle scelte Boldrini e Grasso. Proprio per parlare a quel mondo cui ci si era riferiti con quelle scelte.
Si è insistito, invece, affinché destinatario dell'incarico di formare il nuovo governo fosse il segretario del PD, quand'anche legittimato da elezioni primarie, che non aveva però condotto la coalizione Italia Bene Comune ad avere la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. E che, tra l'altro, veniva percepito come elemento di conservazione in contrasto con le richieste di rinnovamento provenienti dalla urne. A mio avviso ingiustamente, anche se nelle primarie si è proposto come elemento di continuità nel partito in contrasto con l'elemento di rinnovamento costituito da Renzi.
Una volta incaricato, Bersani ha perorato la causa del governo del cambiamento chiarendo, a chiare lettere, che non vi erano alternative. Nessuna possibilità di accordo con il Popolo delle Libertà poteva esserci per la formazione del governo. Spiegando chiaramente ed in maniera condivisibile le ragioni dell'impossibilità di perseguire la ricerca di una base parlamentare che contenesse organicamente il Popolo delle Libertà.
Questa strada, com'è oramai ovvio, non solo è fallita ma non ha ingenerato nessun profondo dibattito nel Movimento 5 Stelle, come invece era accaduto con la candidatura di Grasso al Senato. E' anche vero che Bersani non ha avuto la possibilità di portare in Parlamento la sua proposta per il fatto che il Presidente della Repubblica, nella fase terminale del suo mandato, non ha voluto rischiare quella che, oggettivamente, appariva come una forzatura.
Anche dopo la nomina dei saggi e "l'assorbimento" del suo incarico, Bersani ha continuato ad esprimere la propria contrarietà al governissimo come dal giorno successivo alle elezioni. In poche parole, il Partito di riferimento di una parte degli italiani, votato sulla base di alcune idee e sulla siderale distanza dai fallimenti del governo del Centrodestra, si è proposto ed ha "convinto" la propria base elettorale, i propri iscritti, i propri parlamentari a perseguire un percorso chiaro e alternativo al governissimo.
Ci si attendeva la stessa determinazione per la scelta del Presidente della Repubblica. Si  è proposta, invece, una rosa di nomi che andava in una direzione diametralmente opposta a quello cui fino ad allora si era andati. Ne ho parlato ampiamente nel post http://pensierilibdem.blogspot.it/2013/04/un-presidente-per-litalia.html.
Si arriva, in questo cambio di rotta radicale, alla scelta di Marini. Una scelta verso il governissimo. Lo dimostra quello che ha detto lo stesso Marini dalla Annunziata su Rai3 domenica scorsa. Questi, candidamente, ha dichiarato che la strada che lui, da Presidente della Repubblica, avrebbe intrapresa era quella dell'impegno diretto delle singole forze politiche, quand'anche elettoralmente alternative, nel governo.
A quel punto era ovvio che tutto quel mondo che aveva seguito Bersani nel ragionamento del cambiamento si è sentito tradito ed ha reagito. A questo si aggiungano alcune vecchie ruggini riesplose tra gli ex DS e gli ex Margherita. 
Il nome di Prodi, invece, ha rappresentato il tentativo di tornare sui propri passi. Di tornare al messaggio di contrapposizione col Centrodestra. Ma, come dimostrano i fatti, quelli che si erano avviati sulla strada del governissimo e che avevano partorito la rosa dei nomi per la Presidenza della Repubblica, hanno reagito impallinando la candidatura di Prodi.
Tornando alla premessa, il Partito Democratico imboccherà, costretto, l'unica strada che era chiaro dovesse imboccare fin dall'inizio se voleva dare un governo all'Italia. Con la differenza che dicevo, il "disastro più disastroso", farlo ora con partito distrutto e con un elettorato lacerato. Se fin dall'inizio si fosse spiegato chiaramente che non c'erano alternative, o il voto o il governissimo, ci saremmo risparmiati la distruzione del partito. A mio avviso, nelle condizioni iniziali, l'unica strada sensata da intraprendere era quella del voto. Anche con questa legge elettorale oppure, approfittando del semestre bianco di Napolitano, far funzionare da subito il parlamento per modificarla. 
Lo dico chiaramente. Sento fortissimo il disgusto per la prospettiva del govenissimo con il PDL. Ritrovarmi, tanto per fare qualche nome, con la Gelmini all'Istruzione piuttosto che con Alfano alla Giustizia piuttosto che con Quagliariello alle Riforme Istituzionali, è per me subire una violenza inaudita. Ma, ovviamente, in questo momento, è l'unica strada possibile. Una larghissima parte della popolazione italiana chiede un governo. Chi produce chiede un governo. Chi lavora chiede un governo. Chi non lavora chiede un governo. Gli esodati chiedono un governo. Le famiglie chiedono un governo. I mercati chiedono un governo. Temo, però, che un governo con una maggioranza così variegata non sarà in grado di dare risposte pienamente adeguate alle vere esigenze dell'Italia. Ciò non di meno, questo tempo consentirebbe al Partito Democratico di avere la possibilità di decidere definitivamente il proprio orizzonte. Ricostruire un partito dal basso attraverso un ricambio generazionale e culturale profondissimo. 
Per questo sarebbe opportuno evitare un congresso a brevissima scadenza. Infatti, per Statuto si cristallizzerebbe la platea degli iscritti al momento della convocazione. Questo a meno che non si consenta ad associazioni, comitati e personalità di area di aderirvi nel tempo intercorrente tra la convocazione ed il congresso. Ecco, per questa ragione rilancio l'idea dei "Comitati per il Nuovo Partito Democratico" sullo schema dei "Comitati per l'Ulivo". Per questo, molto modestamente, ho creato l'indirizzo e-mail costruiamoilnuovopd@gmail.com al quale inviare idee e disponibilità.
Inviatemi le vostre idee. Costruiamo la rete reale. Nel mio piccolo farò circolare tra tutti le idee che arriveranno. Per questo spero che nessuno abbandoni il Partito in questo momento. Soprattutto nessuno di quelli delle nuova generazione. Dobbiamo ripartire insieme e da qui.

domenica 21 aprile 2013

Il mio commento alle parole di Civati http://www.ciwati.it/2013/04/21/quelli-di-sinistra-che-odiano-la-sinistra/#comment-214087


Condivido molto delle tue parole. Soprattutto l’appello a restare dentro per cambiare questo partito. Ma ritengo che la colpa non è solo e soltanto di “quelli-di-sinistra-che-odiano-la-sinistra” ma di una classe dirigente che non è più in grado di interpretare non solo il paese e la nuova società ma soprattutto l’elettorato del partito. Un elettorato che, in verità, è molto variegato e va, o dovrebbe andare, oltre la sola sinistra.
E’ stato lo spirito di conservazione di quel gruppo dirigente che alle primarie ha sostenuto Bersani a decidere la composizione della rosa di nomi da sottoporre alle altre forze politiche. Era la rosa ad essere inadeguata, a non garantire l’unità del partito. Il PD si sarebbe frantumato anche se la scelta di Berlusconi fosse caduta su un nome diverso da Marini ma rientrante nella rosa proposta. Quindi è stato sbagliato il criterio di scelta di quei nomi. La rosa, a mio avviso, doveva essere costruita interpretando lo spirito alto del Partito Democratico più che vedere rappresentati i vari capibastone del “Patto di Sindacato” tra ex Comunisti ed ex Democristiani. La rosa doveva essere ideata in modo da rappresentare una proposta al rialzo da offrire a tutti i gruppi presenti in parlamento e non solo al Centrodestra. L’altro errore, quindi, è stata la scelta dell’interlocutore preferenziale. Una scelta diametralmente opposta a quella portata avanti nella formazione del governo del cambiamento e, quindi, incomprensibile per l’elettorato. Anche se io penso che il Movimento 5 Stelle non abbia alcun interesse ad accordi ma il suo scopo principale è quello di abbattere i partiti esistenti con preferenza per il Partito Democratico. Da qui la candidatura di Rodotà in grado di parlare più all’elettorato del PD che alla sua classe dirigente. In questo hanno usato Rodotà (che si è prestato e glene faccio una colpa) come “piede di porco” per divaricare i parlamentari del PD dal loro elettorato.
Bisognava proporre una rosa diversa. Che comprendesse nessuno dei nomi fatti a Berlusconi. Doveva, invero, contenere, ad esempio, i nomi di Prodi, Rodotà, Bonino, Zagrebelsky. Doveva contenere figure che da un lato parlavano al mondo dei 5 Stelle ed all’elettorato del PD, dimostrando la volontà di perseguire il cambiamento di cui parlato da giorno delle elezioni in poi, dall’altro costringessero il PDL a fare una scelta o verso il meno peggio per loro tra quei nomi o verso le barricate. A quel punto si sarebbe potuto votare anche Rodotà. Qualunque di quei nomi avrebbe rappresentato, quand’anche ci fosse stato il sostegno del PDL, una scelta al rialzo come fece Veltroni per l’elezione di Ciampi.
Poi, il vero peccato originale di questa fase è stato forzare con il voto a Marini nonostante il partito al Capranica si fosse mostrato profondamente spaccato e tutti gli alleati del PD, da Sel al Centro Democratico passando per i Socialisti, non erano d’accordo. Quel voto forzato ha spinto al sostanziale liberi tutti che ha portato al sacrificio di Romano Prodi. Un dispetto fatto a noi elettori più che a una corrente o ad un leader specifico.
Ora, però, bisogna ricostruire partendo dal basso e da voi “giovani”, anche se è un termine che non mi piace, preferirei quelli che non sono ne ex Comunisti ne ex Democristiani. In poche parole la nuova classe dirigente del Partito. Incontratevi e superate le divisioni personali. Recuperate lo spirito unitario quello, ad esempio, che animava i Comitati per l’Ulivo. Ripartiamo da lì. Superiamo la fusione a freddo. Incontratevi tu, Renzi, Orfini, Moretti, ecc. e costruite una piattaforma comune lanciando l’idea unitaria di ricostruire il Partito Democratico. Lanciate una campagna di adesioni per la rivoluzione di cui parli nel Post. Un patto generazionale è l’unica salvezza. Poi potrete dividervi sulle idee ma dovete restare uniti sui valori, sull’identità. Sarò tra i primi aderenti. Anzi nel mio piccolo, con la mia piccolissima rete, lancerò una limitata campagna di adesione ai “Comitati spontanei per il nuovo Partito Democratico”.
Scusami per la lunghezza del commento ma sono tuo coetaneo e vedo in te ed in alcuni altri il futuro del partito che sogno da due decenni e a cui non ho potuto aderire ancora.
Grazie

sabato 20 aprile 2013

La lettera che Stefano Rodotà non leggerà mai

Caro Presidente,
per me è il Presidente del Partito Democratico della Sinistra al quale, da giovanissimo, mi avvicinai anche grazie alla sua personalità.
Con rispetto e gratitudine per il ruolo avuto nella mia formazione politica le scrivo questa lettera pur non sapendo se potrà mai leggerla. 
Le scrivo per dirle che questa volta non l'ho compresa e non mi è piaciuto.
Si è prestato ad un'operazione di scardinamento del Partito Democratico. Un'operazione finalizzata ad accentuare le difficoltà tutte interne al Partito al quale, penso di non sbagliare, si sente, come me, più vicino o meno lontano. 
Si è prestato al tentativo, come ben scriveva lei qualche mese fa, di distruggere la democrazia rappresentativa partendo dal partito con il più alto tasso di democrazia interna.
Nel luglio del 2012, in un'intervista alla rivista Left-Avvenimenti, diceva: 
"Grillo è figlio di tutto quello che non è stato fatto: la perdita di attenzione per le persone, la corruzione, la chiusura oligarchica. Gli ultimi due Parlamenti li avranno scelti al massimo 20 persone. In questo clima, ci dobbiamo aspettare fenomeni alla Grillo. Anzi, può darsi che ne vengano fuori altri, anche più pericolosi. Il fatto è che il populismo berlusconiano non è stato letto con la dovuta attenzione critica dalla sinistra. Ricordo bene cosa si diceva dopo la vittoria del 1994: Berlusconi ha fatto sognare, noi no. Altan, il più grande commentatore politico che ci sia in questo momento, ha disegnato uno dei suoi personaggi che diceva: «Non fatemi sognare, svegliatemi». La sinistra non è stata capace di andare alla radice culturale e politica del populismo berlusconiano. Quella deriva aveva un precedente negli anni del craxismo. Comincia allora la rottura, la corruzione giustificata, esibita, il disprezzo per la politica e per «gli intellettuali dei miei stivali». Anche oggi vedo grandi pericoli. Il fatto che Grillo dica che sarà cancellata la democrazia rappresentativa perché si farà tutto in Rete, rischia di dare ragione a coloro che dicono che la democrazia elettronica è la forma del populismo del terzo millennio. Queste tecnologie vanno utilizzate in altri modi: l’abbiamo visto con la campagna elettorale di Obama e nelle primavere arabe. Poi si scopre che Grillo al Nord dice non diamo la cittadinanza agli immigrati, al Sud che la mafia è meglio del ceto politico, allora vediamo che il tessuto di questi movimenti è estremamente pericoloso. E rischia di congiungersi con quello che c’è in giro nell’Europa. A cominciare dal terribile populismo ungherese al quale la Ue non ha reagito adeguatamente".
E allora mi chiedo se le pensa ancora queste cose? Non è stato selezionato proprio mediante quella "democrazia elettronica" che "è la forma del populismo del terzo millennio" oggetto della sua critica? Allora lo strumento è buono oppure no a seconda del risultato?
Quella democrazia elettronica, senza filtri e in questo caso anche senza numeri (non si conosce il numero di partecipanti e l'entità del consenso di ciascuna candidatura), potrebbe designare, invece di Rodotà, persona degnissima, un personaggio  come, ad esempio, Totò Riina. Secondo quel principio fantomatico di selezione del web professato dal Movimento 5 Stelle i cittadini parlamentari dovrebbero sostenere qualunque candidato individuato senza alcuna possibilità di sindacatura.
E allora le chiedo perché?
Perché non si è proposto come legante tra quel mondo che l'ha scelta e quel mondo cui appartiene o è vicino?
Non mi risponda che si attendeva una telefonata dai dirigenti del Partito. Sa meglio di me che la sua scelta era divisiva per il PD, come tra l'altro, si è dimostrato, qualunque altra. Poteva costruire un punto di dialogo su una figura, anche se diversa dalla sua, proprio nel senso delle parole del luglio 2012. Temo, invece, che abbia giocato, come tanti, solo una partita personale, fino ad ora estranea alla sua storia pubblica.
Con questo non le do alcuna responsabilità per le divisioni tutte interne al Partito Democratico. Divisioni che hanno radici profonde e legate più ad acredini personali piuttosto che a differenze culturali. Temo, però, sia diventato la testa d'ariete del Movimento 5 Stelle per disarticolare l'unico vero partito democratico (al di là del nome) che esiste oggi in Italia.
Per queste ragioni potrà pur diventare il Presidente della Repubblica Italiana ma non sarà mai più il mio Presidente.
La ringrazio pur non sapendo se avrà mai la possibilità di leggere queste righe. 
Le righe di un estimatore sincero ma deluso profondamente dalla sua posizione.
Cordialmente
Valentino Ferrara

giovedì 18 aprile 2013

Caro Bersani ti scrivo

Caro Bersani,
sento il bisogno di scriverti stamattina, in queste ore decisive per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica e del futuro del Partito Democratico.
Ma prima mi presento. Ho 38 anni, faccio l'ingegnere libero professionista, ho avuto precedenti esperienze politiche guidando i DS in un comune della provincia di Caserta con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, dal 2007 non aderisco ad un partito politico. 
Ho sempre votato per il centrosinistra e, da quando esiste il Partito Democratico, per il PD. Alle ultime primarie per la guida del centrosinistra sono tornato a partecipare esprimendo la mia preferenza per Matteo Renzi. Alle scorse elezioni politiche, nel febbraio di quest'anno, ho votato per il Partito Democratico scegliendo di sostenere la tua leadership convintamente. Soprattutto perché, anche se parzialmente, hai avviato un processo di rinnovamento interno, seppur limitato numericamente, grazie alle Parlamentarie.
Dopo le elezioni, ho apprezzato il metodo col quale si è proceduto all'individuazione ed all'elezione dei presidenti delle due camere. Ho anche gradito la proposta del governo del cambiamento rispetto al governissimo con "tutti dentro". La preferenza verso un mondo che ha votato per il Movimento 5 Stelle.
Ho sempre apprezzato la tua onestà, la tua qualità umana e morale che nessuno, all'interno del partito, metteva in discussione.
Ma ieri non ti ho compreso. Non ho compreso la ricerca di un accordo al ribasso con il PDL, incapace di intercettare il proprio elettorato. Non ho compreso l'idea di ricercare il consenso prima fuori che dentro il proprio partito. Non ho compreso la mancanza di una visione, di un'idea. L'ultima volta che si è votato a larghissima maggioranza per un Presidente della Repubblica il designato è stato Carlo Azeglio Ciampi. L'ultima volta, invece, non trovando accordo su una personalità condivisa di livello si è deciso di votare una personalità di parte ma di livello come Napolitano. Ora, invece, cosa si è fatto? Si è scelto la politica del minimo comune denominatore piuttosto che del massimo comune denominatore. Un errore madornale. 
Ti stai assumendo una responsabilità eccezionale. Distruggere il Partito Democratico temo per un'ambizione personale, tu che non hai messo il nome sul simbolo. Rischi di essere l'ultimo segretario del PD, perché se passa Marini il Partito non esiste più, se non passa Marini questa classe dirigente è finita ma, temo, si trascinerà dietro il partito. 
Buona fortuna a tutti noi.

mercoledì 17 aprile 2013

Un Presidente per l'Italia

Oramai ci siamo. Fra poche ore inizieranno le votazioni per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica che, rammentando l'art. 87 della Costituzione, "è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale".
L'elezione di questo Presidente della Repubblica è un'occasione straordinaria per l'Italia. Lo è anche per il Partito Democratico. Una forza politica responsabile, che si candida alla guida di un paese, deve dimostrare in ogni suo atto di avere chiaro l'interesse superiore della nazione. 
Ma un partito deve avere una sua visione, una sua idea. Le sue azioni non possono, nel perseguire un interesse generale, andare in contrasto con le aspettative e le istanze della propria parte. La visione per un partito è il sistema di valori, l'idea di paese e di società, la tutela di interessi di parte all'interno di quelli generali. 
In questo momento, anche per colpa propria, il Partito Democratico si è fatto "mettere in mezzo". E' stato sorpassato, da un lato, dal Movimento 5 Stelle nell'individuazione di figure di grande qualità. Dall'altra si è fatto sorpassare dal Centrodestra nello schema della responsabilità, dell'interesse generale. Un accordo tra nemici per mettere mano alle emergenze del paese. 
Possiamo dire, senza essere contraddetti, che il Partito Democratico pecca di strategia. Quello che conta, però, è il risultato. E' l'unica forza politica parlamentare che può contribuire in maniera determinante, in forza dei numeri, all'elezione del futuro Presidente della Repubblica.
Ecco, bisogna avere coraggio. Scegliere con nettezza quali caratteristiche deve avere il nuovo Presidente della Repubblica. In ogni caso non si potrà avere il consenso di tutti.
Quindi il PD sceglierà di seguire la linea della convergenza con il PDL? Cercherà, invece, il minimo comune denominatore con il Movimento 5 Stelle?
Se il PD va dal PDL tentando di proporre nomi che possano andare bene a Berlusconi, cito ad esempio Amato o Marini, non solo non perseguirebbe la convergenza con i 5 Stelle, ma, soprattutto, non interpreterebbe le aspettative della propria base. Per l'ennesima volta. E se, invece, usasse il coraggio e proponesse una figura oltre gli schemi noti? Sarebbe possibile?
Quale linea sarebbe più condivisibile da parte della base del partito? Quale sarebbe nell'interesse superiore della nazione? E' possibile contemperare in questa fase il consenso della propria parte con l'interesse generale del paese?
La ricerca di una figura che incarni la legalità è di parte o persegue l'interesse generale?
Individuare una figura di strenuo custode dei valori della prima parte della Costituzione persegue interessi di parte o generali?
Eleggere come Presidente della Repubblica una personalità la cui storia personale sia priva di ombre o compromissioni è nell'interesse di parte o generale?
A mio avviso è indispensabile cogliere l'occasione per superare gli schemi tradizionali. Proporre una visione del paese che superi la contrapposizione Berlusconismo-Antiberlusconismo. Non si può percorrere la linea dell'accordo al ribasso con il PDL. Bisogna ricercare la condivisione su una proposta che non solo cambi lo schema ma che trasmetta in maniera chiara una nuova visione del paese. Una visione chiara e netta. E se non si trovasse la condivisione, pazienza. Ci avrebbero provato.
La risposta è semplice, anche se comprometterebbe le aspirazioni dei sostenitori del governissimo PD+PDL+LC+LN. Sostenere un candidato con le caratteristiche citate!
La mia preferenza sarebbe per Romano Prodi. Personalità che, indipendentemente da come la si pensi, ha riconoscimento internazionale ed ha dimostrato le sue capacità come Premier. Ha sancito, durante i suoi governi, le fasi migliori della storia recente dell'Italia sia dal punto di vista sociale che economico. Anche la storia dell'Euro è falsa. Il governo Prodi ha definito le modalità di ingresso. Aveva definito anche dei meccanismi di contrasto alle speculazioni. Il governo in carica all'epoca del passaggio dalla moneta nazionale all'Euro, nel 2002 c'era Berlusconi, avrebbe dovuto vigilare. La storia è li per dimostrarlo. 
Ciò nondimeno ritengo che l'unico candidato innovativo per visione e condivisione non può che essere Stefano Rodotà (in subordine Gustavo Zagrebelsky). In questo i sostenitori del Movimento 5 Stelle hanno avuto il coraggio di perseguire la propria visione della società, indipendentemente dalla possibilità di accordo. E', in questo, la forza delle idee . Se sono buone lo sono indipendentemente dalla trasversalità del consenso e molto spesso, nello schema italico, lo sono proprio per questo.
Il Partito Democratico avrà il coraggio di portare avanti le proprie buone idee?

sabato 13 aprile 2013

Guardare l'Italia da lontano

Il servizio di leva non l'ho fatto. Prima ho rimandato la partenza grazie agli studi universitari. Poi, in conseguenza degli eventi alluvionali del maggio 1998, che colpirono, tra gli altri, i comuni di Sarno, Quindici, Bracigliano e San Felice a Cancello (il mio), ne fui esonerato. Ecco, io non ho fatto il "militare". Sarebbe stato definitivamente abolito il 1 gennaio 2005. 
Quanti di noi hanno ascoltato quelli che ritenevano il "servizio militare" un periodo importante per la formazione di un uomo? Era il primo distacco dal nucleo materno e le prime responsabilità. Si diceva che quell'anno avrebbe formato l'uomo che ognuno di noi sarebbe diventato. 
Perché ho iniziato questo post con questa nota di carattere autobiografico-storico? Perché  guardo l'Italia di oggi, ci vivo, la vedo votare, lavorare e mi sento perso. Mi sento lontano. 
Ho viaggiato molto. Più di una volta mi è capitato di pensare di andare via dall'Italia e costruire il mio futuro lontano. Un pensiero che, anche ora che diventerò padre, non mi ha abbandonato. Quando sei lontano e vedi l'Italia da continenti e culture profondamente diverse, ti accorgi di quanto abbiamo e di quello che ci perdiamo.
Ecco, per tornare alle premesse di questo Post, riterrei necessario sostituire il servizio di leva obbligatorio con il confino extra nazionale obbligatorio. Un anno lontano dall'Italia, ma vedendo e leggendo dell'Italia attraverso lo sguardo di chi vive in quei paesi. Ad esempio, vivere un anno in uno dei paesi del nord Europa dove la tassazione è ai livelli della nostra ma, grazie anche alla quasi totale assenza di evasione, i cittadini ricevono in cambio servizi straordinari.
Ho avuto la fortuna di poter viaggiare. Ho conosciuto continenti e culture lontane. Mi sono innamorato dell'Oriente e delle sue usanze, delle sue religioni, del modo di vivere delle sue genti. 
Ho provato vergogna quando, fuori dai confini nazionali, le persone mi sorridevano conoscendo della mia provenienza. Eravamo famosi per Leonardo Da Vinci, per Dante, per Brunelleschi e anche, molto più modestamente, per il calcio. Ora siamo famosi per la degenerazione della nostra classe dirigente. Siamo famosi per l'evasione fiscale fuori controllo. Siamo famosi per "Berlusconi, eh eh!".
Ecco, tutti dobbiamo provare questa mortificazione. Soprattutto quegli elettori chiusi nei propri egoismi che votano ancora per Berlusconi. 
Ho la sensazione di essere imprigionato in un incubo da 20 anni. 
Spero di svegliarmi quanto prima, soprattutto perché fra pochi mesi avrò la responsabilità di un'altra vita. 
Aiutiamoci a riscattare il nostro futuro!

giovedì 11 aprile 2013

La visione ed il sogno

Sono trascorsi appena sei anni dal 23 maggio 2007 quando, con la nomina del Comitato promotore, si diede vita al processo costituente del PD conclusosi con il suo primo congresso in data 14 ottobre 2007. Eppure quel processo, frutto della visione di alcuni, sogno per tanti elettori del "Centrosinistra senza trattino", sta dando i primi segnali di crisi.
E' una crisi più dei gruppi dirigenti, legati a divisioni tra ex Margherita ed ed DS, che della base elettorale. Il confronto/scontro delle primarie del 2012 tra Bersani e Renzi ha sancito, a mio avviso, l'imbocco di una strada senza ritorno. Le due proposte, al di là di quello che si può pensare, hanno, paradossalmente, rappresentato il momento di massimo superamento delle due identità d'origine. Sia Bersani che Renzi hanno unito, ciascuno per la propria parte, le due anime originarie. Il consenso di Bersani, così come quello di Renzi, hanno raggiunto una trasversalità che mai, prima di allora, si era avuta. Ancora nelle fasi congressuali dell'ottobre 2009, Bersani e Franceschini, i due principali competitori per la guida del partito, rappresentavano due anime del partito che si confrontavano e "si contavano" per la definizione dei posti chiave.
Nel 2012, invece, l'intera classe dirigente del PD, costituita dai notabili provenienti sia dai DS che dalla Margherita, si è unita nel sostegno della candidatura di Bersani. Una straordinaria trasversalità che ha unito tutte le anime del PD. Lo stesso, in realtà, è accaduto per quanti hanno votato per Renzi. In questo caso, invece, è stata la base elettorale a "mischiarsi" nel sostenere la candidatura del sindaco di Firenze.
Il confronto-scontro, il "noi e loro" di cui parlava Renzi, questa volta non era riferito a Ds e Margherita. Era il tentativo di superare il blocco al ricambio di classe dirigente. Un blocco che superasse anche il meccanismo del rinnovamento per cooptazione. Accanto a questa richiesta di rinnovamento vi è anche una nuova proposta di inclusione sociale, un tentativo di superamento delle categorie del '900 e l'offerta di nuove soluzioni di "sinistra" ai problemi della società italiana.
Alcuni tra i sostenitori di Renzi hanno invitato il sindaco di Firenze a rompere gli indugi e ad uscire dal PD per creare un nuovo soggetto alternativo. La goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso sarebbe stata la mancata designazione di Renzi come Grande Elettore della Regione Toscana. Onestamente la mancata nomina non è un caso straordinario, tanto meno tale da far discendere una scissione del PD. Ritengo, invero, che sarebbe stata un'opportunità per il Partito Democratico. Un chiaro segnale di unità. Invece, lo ammetto, si è persa un'occasione e si è dato l'ennesimo segnale di chiusura. Tanto più che sembra la proposta sia giunta a Renzi dai leader regionali del PD piuttosto che conseguenza di una sua specifica richiesta. Un segnale mancato. Peccato, ma nessun dramma. Lo stesso Renzi, amareggiato per la fantomatica "telefonata da Roma", non ne ha fatto un dramma.
Ecco, posso affermare che ho votato per Matteo Renzi alle ultime primarie, come me tantissimi elettori del PD (comunque meno di quelli che democraticamente hanno scelto Bersani), proprio perché ha fatto la sua battaglia chiara, decisa, di alternativa anche radicale ma lealmente incardinata nel progetto del Partito Democratico. Una scelta avvalorata da quanto è accaduto dopo le primarie. Il discorso di "ringraziamento" conseguente alla sconfitta. Un discorso pronunciato mentre era ancora in corso lo spoglio in cui vi è l'immediata accettazione dell'esito delle primarie e ciò senza alcuna polemica. E vi assicuro che, per chi ha visto la macchina delle primarie in azione, l'affluenza ed i numeri in alcuni seggi, qualche polemica la si poteva fare. 
La sua posizione durante la formazione delle liste per il parlamento come dimostrato dalle critiche di disinteresse venutegli da alcuni dei suoi sostenitori. La lealtà dimostrata durante la campagna elettorale. Le dichiarazioni che si sono succedute dopo la sconfitta alle primarie e la stigmatizzazione di quei suoi sostenitori che hanno scelto di uscire dal PD e continuare la loro battaglia da fuori. Famosa la frase critica su quelli che "portano via il pallone".
Queste posizioni sono state e sono la sua forza. Non ci sono possibilità fuori dal Partito Democratico. Gran parte di quelli che lealmente lo hanno votato durante le primarie non lo sosterrebbero. A partire da me. Ma anche quelli che oggi, fuori dal PD, lo vedono come riferimento, ne resterebbero delusi.
L'appartenenza al Partito Democratico per un leader come Matteo Renzi, uno che si candida ad essere il primo della terza repubblica non l'ultimo della seconda, deve essere una scelta di fondo, non di convenienza.

domenica 7 aprile 2013

La solitudine dei numeri primi


Il Partito democratico è stato in grado, per l’ennesima volta in questi ultimi 20 anni, è stato capace di riportare Berlusconi al centro della discussione politica italiana. Ha governato sostanzialmente, direttamente o indirettamente (ad esempio nell'ultimo anno e mezzo di Monti era comunque di maggioranza relativa in Parlamento), negli ultimi 12 anni per 10 anni. Ha portato l'Italia nella condizione attuale. Molti dei sui elettori (circa 6 milioni) lo hanno abbandonato per molteplici ragioni. Era, come si evince facilmente, finito ed abbandonato da buona parte del suo elettorato. 
Anche le prime mosse della nuova legislatura lo avevano isolato. Le candidature di Boldrini e soprattutto Grasso (contrastata dalla candidatura Schifani) alle presidenze delle Camere lo avevano ancora più marginalizzato. Una netta contrapposizione tra visoni del mondo e della società italiana, illuminate dalla contrapposizione al Senato. 
Un modello direi vincente. Non doveva essere abbandonato. Invece, è stato abbandonato per l’incarico di formare il governo. Bersani, assolutamente legittimato dal risultato delle primarie e persona degnissima (dal mio punto di vista), avrebbe potuto lasciare ad un uomo d'area, facendo un passo affianco e guidando il partito fino al nuovo congresso. Un atto di grande generosità. Un atto che lo avrebbe posizionato tra i padri nobili del Partito Democratico. Molti commentatori e politici illuminati lo avevano invitato ad un atto di coraggio. Lui, invece, ha scelto di forzare ed andare a discutere con il M5S proponendo la sua figura. Era facilmente prevedibile l'esito leggendo con quanti epiteti si erano prodigati a dipingere Bersani i leaders e gli attivisti del M5S.
Questa posizione mantenuta con cocciutaggine (anche se Bersani lo nega) ha portato allo stallo politico attuale. In questo contesto sono usciti allo scoperto quelli che nel PD, pur di restare in sella, sono disposti all'alleanza mortale con Berlusconi. Siamo al “Mors tua vita mea!”. La vita di questa classe dirigente del partito al prezzo della morte del PD.
C’è ancora tempo per cambiare il registro. Far lavorare il Parlamento. Alla Camera la coalizione "Italia Bene Comune" ha la maggioranza assoluta e potrebbe approvare qualunque riforma. Al Senato, invece, sui temi sia Scelta Civica che il Movimento 5 Stelle, in particolare, dovranno mettere a nudo le proprie posizioni approvando o bocciando le proposte di cui agli 8 punti di Bersani. Spostiamo la discussione dai nomi alle questioni. Si potrebbero creare anche le condizioni per un governo del cambiamento la cui guida, però, non potrà essere Bersani. Infatti, il tempo e l’immobilismo sta logorando dall'interno il Movimento 5 Stelle. Dopo l’elezione del Presidente della Repubblica si potrebbero creare le condizioni per proporre un nome condivisibile per la guida del governo all'interno del quale possano trovare ospitalità personalità di area. Questa è anche la posizione di alcuni illuminati parlamentari del PD, Civati in testa.
Si pongono ora due questioni cruciali per il futuro dell'Italia e del Partito Democratico:
1) Per l’elezione della Presidenza delle Repubblica bisogna avere coraggio. Ci vuole un nome che riconcili il Parlamento, la Politica ed il Paese. Nessun accordo al ribasso. Neanche bassi calcoli politici di bottega. Sarebbe l’ennesimo disastro della classe dirigente del PD. Ho sentito nomi di ex DC/PPI che acuirebbero il distacco tra paese reale e politica. Ho sentito di consensi in parlamento attorno al nome di Emma Bonino. Sarebbe certamente un ottimo nome. Ma ci sono anche altre personalità dotate di grande esperienza ed equilibrio come Zagrebelsky, Rodotà e Onida. Ma non nascondo che personalmente vedrei con molto piacere il nome di Prodi. Questo dovrebbe avvenire solo se ci fosse il consenso anche di Scelta Civica e del Movimento 5 Stelle. Sarebbe un segnale importante. Un nome per andare oltre.
2) la guida del partito e la candidatura a Premier. Non nascondo la mia preferenza per la premiership di Renzi. E’ l’unico che, oggi, nell'ambito del Partito Democratico ha una riconoscibilità ed un consenso che travalica l’elettorato tradizionalmente di centrosinistra. Se il Partito Democratico si candida a divenire un grande partito di massa che, sul modello delle grandi democrazie occidentali con sistemi elettorali maggioritari, deve contenere diverse sensibilità, deve aprirsi alla società italiana. Deve superare gli schemi del ’900 ed interpretare i cambiamenti intervenuti nel tessuto sociale del nostro paese. L’unico che, oggi, può farlo è Matteo Renzi. Allo stesso tempo ritengo che il Partito debba essere guidato da un’altra persona. Tanto più se fosse un governo di coalizione. C'è bisogno di un Partito Democratico con voce autonoma rispetto al governo. Per questo vedo Civati che, nello spirito delle prima Leopolda, recuperi il rapporto con il mondo di Matteo Renzi e guidi il partito verso la sua reale dimensione.
E’ un sogno? Ci vorrebbe poco per realizzarlo.