domenica 31 marzo 2013

La mossa della colomba (elettorale)

In queste ore, nei giorni della Pasqua della cristianità, il nostro paese vive una delle peggiori crisi della storia recente. Una crisi profonda, economica e morale, che sta segnando la vita quotidiana di milioni di italiani.
Proprio in questo momento arrivano le elezioni che, per un sistema elettorale balordo nonché per la presenza di fattori di profonda inaffidabilità nel sistema politico, non consentono la determinazione di una chiara maggioranza di governo. 
In realtà, come correttamente detto da molti commentatori, non esistono sistemi elettorali, di tipo democratico, che, di per se, diano la certezza di una maggioranza parlamentare. La questione è parzialmente vera. Solo il sistema elettorale in vigore per l'elezione della Camera dei Deputati fornisce la certezza di una maggioranza. Basta un voto in più degli altri e si ha una maggioranza in parlamento del 55%. Purtroppo, il sistema elettorale del Senato della Repubblica di fatto non fornisce un'analoga certezza. Tanto più, come nel caso delle ultime elezioni, quando vi sono tre forze elettorali sostanzialmente equivalenti per consensi.
Anche il sistema elettorale utilizzato per i sindaci non garantisce di per se una maggioranza. Il premio per garantire la governabilità, infatti, viene assegnato se la coalizione vincente supera il 40% o se, pur non superandolo, nessuna delle altre coalizioni supera il 40%. Appare evidente come dal punto di vista della tenuta democratica del sistema avere il 55% dei seggi in Parlamento con circa il 30% dei voti non è un elemento di democrazia. Lo dimostrano le storie dell'avvento delle dittature nell'Europa del secolo scorso. Sistemi democratici in crisi, consensi frammentati, associati a sistemi elettorali con forti premi di maggioranza, hanno generato la nascita delle dittature.
Si continua ad affermare, giustamente, che anche in altri paesi, come recentemente avvenuto in Germania (che ha un sistema elettorale proporzionale con sbarramento), non essendo uscito dalla elezioni un parlamento con una maggioranza politica chiara (come in Italia), le principali forze politiche si sono associate in una "Grosse Koalition" per governare. Quel governo, tra l'altro, è durato un'intera legislatura. Questo, però, presupporrebbe che tutte le forze politiche in campo abbiano una condivisione dei valori costituzionali e morali. Appare evidente che in Italia vi sia un fattore di destabilizzazione ed inaffidabilità invalicabile. Tanto più alla luce dell'esperienza del governo Monti, con il PDL berlusconiano non vi è alcuna possibile corresponsabilità di governo. Sarebbe l'ennesimo tentativo fallimentare. Procrastineremmo l'approvazione delle riforme di cui necessita l'Italia per restituirle, finalmente, la credibilità internazionale e la fiducia interna che meriterebbe. In caso contrario si farebbe un regalo gigantesco all'unica forza anti-sistema presente nel panorama politico italiano. Una forza che, come dimostrano le farneticazioni del suo Guru, non è in grado di governare le sfide del nostro tempo.
Per questo la mossa di Napolitano, che è apparsa a tutti inizialmente intelligente, risulta meno efficace alla luce delle dichiarazioni degli esponenti del M5S. Invero, la presenza di Quagliariello da un lato e, per fattori molto diversi, Violante dall'altro, non garantiscono, di fatto, una risposta alle richieste di cambiamento che giungono dalla lettura del risultato elettorale. Ciò non di meno bisognerà verificare tre cose: le proposte, necessariamente di mediazione, che usciranno dai tavoli; l'effettiva posizione del M5S rispetto a quelle eventuali proposte; il tempo che utilizzeranno per formulare un pacchetto di proposte condivise/condivisibili. Perché, se è vero che la scelta di Napolitano sia stata dettata dall'indisponibilità, tra le sue facoltà, di sciogliere il parlamento, è altresì vero che la proposta dei Saggi, per essere efficace, dovrà arrivare entro il 15 aprile, data nella quale inizieranno le votazioni per il nuovo Capo dello Stato. Questo, perché, la partita di Berlusconi e del suo Centrodestra si gioca tutta sull'elezione del Presidente della Repubblica. Se si perderà tempo il Centrodestra berlusconiano si sfilerà dal tavolo lasciando nuovamente al Centrosinitra la responsabilità di aver contribuito all'ennesimo tavolo "inciucista" dal quale non poteva uscire nulla di buono. Per questo il Movimento 5 Stelle si è già sfilato, pur avendo fatto a Napolitano il nome di Giovannini.
Ed ecco perché ritengo che, oramai naufragato il tentativo Bersani, appare evidente che il Centrosinistra deve e può dare un segnale importante: fare la mossa della Colomba. Offrire, in segno di pace, una Colomba pasquale al paese.
Alla Camera dei Deputati il Centrosinistra è dotato di una maggioranza in grado di fare qualunque cosa anche in autonomia. Approvi velocemente una riforma elettorale sul modello del doppio turno di collegio alla francese. Una volta approvata la riforma elettorale, questa passi al Senato della Repubblica. In quella sede, dove non vi è una maggioranza, le altre forze saranno costrette a discutere di una proposta di riforma elettorale concreta. Con questo il Centrosinistra dimostrerebbe che quando ha i numeri in Parlamento fa le riforme. Saranno gli altri, eventualmente, a dover dire di no. Oppure, comunque, si partirà da quella base di discussione. 
Perché non provare a sparigliare il tavolo e legare la discussione ad una proposta concreta sulla quale, almeno in un ramo del parlamento, vi sia una maggioranza chiara?
Dopo la mossa del Cavallo per l'elezione dei presidenti delle Camere e la mossa della coerenza con l'incarico a Bersani (avrei preferito un'altra mossa del cavallo anche per il Premier), proviamo a fare la mossa della Colomba sulla riforma elettorale e vediamo gli altri che fanno. Sarebbe, in ogni caso, un ottimo cavallo di battaglia per le probabili  prossime elezioni.

sabato 30 marzo 2013

Il difficile parto della terza repubblica

Appare evidente, in queste ore, anche alla luce delle dichiarazioni di Napolitano, che il sistema italiano, così come è uscito da tangentopoli, è oramai arrivato al collasso.
Il Berlusconismo e l'Antiberlusconismo che, seguiti a Comunismo ed Anticomunismo, hanno segnato questi ultimi 20 anni sono oramai arrivati al tramonto. Lo scrive uno, il sottoscritto, che ritiene, dal punto di vista sociologico e non semplicemente politico, che la degenerazione morale di questi anni sia stata dettata da un modello culturale ed economico, quello berlusconiano, che ha segnato profondamente noi tutti modificando il comune sentire ed interpretando il peggio dell'italianità.
I cambi di casacca in parlamento, senza alcuna vergogna. Il dispregio delle leggi quando queste impedivano di compiere degli arbitri o dei soprusi. La legge forte con i deboli e debole con i forti. Il potere del denaro e le semplificazioni per il successo.
Sono tutti elementi che hanno segnato questo nostro tempo e che, per essere superati, richiederanno tempo. Ci vorranno generazioni. Quel modello culturale e sociale era, però, basato sull'opulenza, sulla ricchezza, sul benessere. Venuti meno questi elementi, i cittadini hanno iniziato a ritenere insopportabile il sistema con la sua autoreferenzialità. La dilagante corruzione politica, i privilegi della Casta, la resistenza ai cambiamenti hanno stufato.
E' un'occasione storica per il nostro paese. Dare la spallata a questo sistema marcio trovando, in questo parlamento, le forze buone negli schieramenti. So bene che nel PDL sarà difficile trovarne perché le candidature sono diretta emanazione del capo, senza alcuna selezione democratica. Dovranno essere le forze migliori, quelle presenti nel PD, in SEL, in Scelta Civica e nel Movimento 5 Stelle a farsi carico di questo compito. 
Il nostro grande Presidente Napolitano ha spostato la discussione dai nomi e le alleanze ai temi di merito. Nessun inciucio. Nessuna fiducia in bianco. Pochi punti qualificanti per spazzare via la seconda repubblica e costruire la terza.
Coglieranno i nostri eroi l'occasione storica?

venerdì 29 marzo 2013

#NonSiPuòFare 2

Ho letto alcuni commenti al mio precedente post che mi hanno invitato ad una lettura del dettato costituzionale. 
In particolare, l'art. 88 della Costituzione Italiana recita testualmente:
"Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura."
La lettura letterale indurrebbe ad affermare che è una facoltà "soggettiva" del Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere. In realtà, come anche la prassi costituzionale prevede, il Presidente della Repubblica scioglie le camere quando esse non sono più in grado di garantire una maggioranza parlamentare a sostegno di un Governo o, è accaduto nel periodo di tangentopoli, quando il parlamento è di fatto delegittimato.

Anche il tema che un governo c'è, quello Monti, è debole. Esso è in carica per gli affari correnti e non è nella pienezza delle sue funzioni. Per essere nella pienezza delle sue funzioni dovrebbe ricevere la fiducia in entrambi i rami del Parlamento, come recita l'art. 94 della Costituzione.

Per quanto riguarda, invece, il tema delle leggi approvate velocemente, queste sono state agevolate dalla questione di fiducia posta dal governo in carica. Poi, come ho detto nel precedente Post, anche in assenza di governo, tanto più per il fatto che l'attuale Presidente della Repubblica non può sciogliere le camere essendo nel semestre "bianco", si potrebbe, comunque, cogliere l'occasione per fare la legge elettorale.
Però voglio dire una cosa. L'occasione è ghiottissima!
Si potrebbe fare un vero governo di cambiamento, fondato su una maggioranza assoluta di elettori italiani. Sarebbe la prima volta da oltre 20 anni.
Non si dovrebbe perdere questa occasione. Basterebbe un anno di governo. Poi si potrebbe andare alle elezioni con una nuova architettura istituzionale.
Ripeto: Buona Fortuna Italia!

giovedì 28 marzo 2013

#Nonsipuòfare

Oggi, con un post scritto sul proprio blog, Beppe Grillo, di professione comico, ha detto che legiferare in parlamento senza governo #sipuòfare.
Mi sa che conviene che continui a fare il comico perchè di funzionamento del parlamento non ne capisce molto. Il Presidente della Repubblica, verificata l'impossibilità di formare un governo, deve sciogliere le camere. Cosa che in realtà dovrà fare il successore di Napolitano perché siamo nel semestre bianco.
Questo è il punto! 
Tra l'altro il sistema istituzionale italiano, che prevede il bicameralismo perfetto, non potrebbe che vedere ultimata una legge se non prima di 4 mesi dall'inizio del percorso parlamentare. Tanto più se non esiste un governo che metta la questione di fiducia.
L'altra questione di fondo è che per essere celeri, e 4 mesi sono tempo rapido per la normale tempistica delle camere tra passaggi in commissione ed in aula (sempre nella speranza che la norma non sia emendata dal ramo del parlamento che l'approva per seconda), si dovrebbe essere d'accordo sul merito della norma.
L'unica cosa che si potrebbe fare è nominare una commissione con funzione redigente per la riforma elettorale per ridurre i tempi di approvazione. Poi in quella sede andrà verificata, al senato, una maggioranza sulla tipologia di legge elettorale. Anche qui è da verificare la presenza di una maggioranza a questo scopo.
In ogni caso una cosa è certa. Questa situazione è un disastro per tutti noi che lavoriamo e viviamo del quotidiano.
Buona fortuna Italia! Ne abbiamo bisogno.

Cinque passi verso il baratro

Quello che sta accadendo in questi giorni appare distante anni luce dalla realtà. Il tema vero, che avevo già anticipato nel precedente post, è che Bersani avrebbe dovuto lasciare il passo ad una personalità diversa dal leader della coalizione "Italia bene comune". Questo, perché, per parlare con una parte del parlamento che chiedeva il rinnovamento non si poteva sperare che avessero successo le stesse facce con le quali in campagna elettorale (anche durante le primarie) si è tentato di mandare un messaggio di conservazione.
Personalmente sono molto preoccupato e sconfortato. Tutta l'economia italiana, anche per questo clima di incertezza, è bloccata. La contrazione della spesa delle famiglie sta raggiungendo livelli inimmaginabili fino a pochissimo tempo fa.
Ed ecco che una parte politica, che ha conquistato un elettore su quattro, si pone al di fuori della partita ritenendo i propri consensi migliori di quelli degli altri. Un gruppo politico che, sicuramente composto da persone perbene in gran parte (anche se bisogna sempre metterle alla prova), si fa dettare la linea da un comico che uso la volgarità per comunicare il proprio pensiero.
Questa è l'Italia non a 5 stella ma a 5 passi dal baratro. Manca veramente poco per la disintegrazione del sistema. Tra l'altro è quello cui mira Grillology.


sabato 23 marzo 2013

Tra sogno e responsabilità

Il 22 marzo, alle ore 17:00, viene convocato Bersani presso il Quirinale per il mandato "esplorativo" per verificare la possibilità di formare un governo ricevendo la fiducia in entrambi i rami del parlamento.
Qualche giorno fa avevo postato, col titolo "Il coraggio dello smacchiatore", una riflessione ed un auspicio per la formazione del governo. Questo auspicio, almeno in questa prima fase, non si è concretizzato. 
Bersani ha deciso di tentare la formazione del governo direttamente senza provare a sparigliare da subito il tavolo di discussione con un nome fuori dagli schemi. Evenienza che poteva realmente scalfire la solidità del gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle. Per lo meno avrebbe insinuato nell'elettorato dei Pentastellati il dubbio che la loro posizione sia di puro ostracismo. Una posizione, quella del movimento, ritenuta già sterile e poco comprensibile all'elettore medio, soprattutto se proveniente dal centrosinistra.
Si è scelta la strada più difficile, quella di sfondare il muro del no. A questo proposito va fatta una riflessione. Se l'elettore del Movimento 5 Stelle avesse voluto votare Bersani lo avrebbe già fatto durante le elezioni. Andare a proporre ora quella stessa "minestra" che hanno rifiutato durante l'elezioni non ha molto senso. Avrebbe avuto, invece, senso proporre un nome fuori dagli apparati, sostenuto dal programma degli 8 punti. Avrebbe dovuto, inoltre, chiarire che il PD avrebbe rinunciato al rimborso elettorale. Poteva  proporre contestualmente un disegno di legge sui partiti e sui movimenti. A questo proposito, basterebbe chiedere a meno di un terzo dei partecipanti alle ultime primarie del centrosinistra un contributo di 50 euro (in 5 anni) per ottenere lo stesso importo del rimborso elettorale. Non un grande sforzo. Ma per fare questo serve credibilità e morigeratezza. L'impressione è che ci siano sacche di spreco e qualche ombra. Ci sono molte fondazioni finanziate dal partito che non hanno molta trasparenza di bilancio.
La sfida ormai è lanciata e mi auguro, per il bene dell'Italia, che questo tentativo vada in porto ma non a qualunque prezzo.
No al prezzo di un'alleanza con il PDL!
No al prezzo di una riedizione del governo Monti!
No al prezzo di non rinnovare!


mercoledì 20 marzo 2013

Il momento del coraggio per lo smacchiatore

Domani pomeriggio Bersani andrà al Quirinale per proporre gli 8 punti approvati dall'ultima Direzione Nazionale.
Molti commentatori politici ritengono che Bersani proporrà il proprio nome e, per lo meno nella prima fase, non farà passi indietro. Io, invece, mi attendo da lui un ulteriore gesto di coraggio. Non un passo indietro ma un passo avanti. Un passo che porti il Partito Democratico a poter guidare il rinnovamento. In effetti ho la sensazione che proporrà il proprio nome ma, contestualmente, porterà al Capo dello Stato, fin da subito, una soluzione alternativa, sullo schema delle elezioni dei Presidenti delle Camere, cui Napolitano potrà lavorare. Un nome che possa andare oltre il partito ed avere consensi anche dal Movimento 5 Stelle e dalla Lista Civica di Monti. Questo è quello che ho intuito dall'intervista di domenica scorsa a Maria Latella da Brescia su SkyTg24.
E', però, evidente che qualunque soluzione non potrà essere ritenuta di lungo periodo. Probabilmente un governo dalla durata di un anno, in grado di fare la riforma elettorale, la riforma dei costi della politica e mettere in campo nuove politiche economiche per il lavoro. Non potrà fare molto altro. Non potrà lasciare l'Italia nell'incertezza politica per troppo tempo, con un  governo privo di un maggioranza politica coesa, perché alcuni temi economici dei cinque stelle non sono accoglibili. Soprattutto la proposta dell'uscita dall'Euro. Ma anche il tema della "decrescita felice". Non esiste una decrescita felice se non per i titolari di grandi patrimoni che aumentano il loro potere d'acquisto nelle fasi di recessione. 
Se, invece, il tema è quello di costruire, uscendo da questa crisi, una nuova società in grado di recuperare i veri valori, ridurre gli sprechi e ripristinare il senso della misura, allora si può trovare una strada comune. 
A mio modestissimo avviso l'Italia potrà uscire da questa crisi ma giungendo ad un equilibro molto diverso da quello pre-crisi. Un equilibro spostato notevolmente verso il basso. 
Da tecnico, questa la mia formazione professionale, parlo sempre del principio fisico dei vasi comunicanti per illustrare quello che è accaduto in questi anni dal punto di vista macroeconomico. Ho due contenitori indipendenti, il primo di piccola sezione, molto alto e pieno d'acqua, il secondo con una sezione 20 volte superiore a quella del primo ma con meno acqua. Finché i due vasi sono isolati le condizioni illustrate persistono. Quando vengono messi in comunicazione per il principio dei vasi comunicanti raggiungono lo stesso livello con questa conseguenza: il primo perderà molta dell'acqua presente prima del collegamento, il secondo, pur avendo ricevuto molta acqua dal primo, avrà un livello di poco superiore alla situazione precedente. In sostanza, la globalizzazione è il principio dei vasi comunicanti per l'economia. Poi, per l'Italia, un paese fortemente indebitato, che non produce più nulla ma che vive di servizi, di economia interna, molto legata alla spesa pubblica, questo principio è ancora più severo.
Ma torniamo al coraggio dello "Smacchiatore di Giaguari". 
Ho votato Partito Democratico anche e soprattutto perché credo nella possibilità che possa essere la guida del rinnovamento. Ho personalmente stima di Bersani che, in molte occasioni, ha dimostrato di essere una persona perbene e capace (ricordo sempre la sua esperienza di Ministro dello Sviluppo Economico nel 2° governo Prodi come una di quelle più innovative da quando ho memoria politica). Ma è arrivato il tempo del coraggio, di mostrare al partito la strada per rinnovarsi veramente e raccogliere la sfida del futuro. Quindi:
1) Promuovere la nascita di un governo d'area per un anno che non potrà essere, purtroppo,  a guida Bersani;
2) Indire il congresso per l'autunno e lanciare una proposta di forte rinnovamento della classe dirigente proponendo come segretario una figura come Pippo Civati.
3) Riconoscere un ruolo di leadership a Matteo Renzi che è l'unica risorsa che, attualmente, può guidare il Centrosinistra alla vittoria in una possibile prossima consultazione elettorale.
Ecco la sfida di Bersani! In questo modo potrà veramente Smacchiare il Giaguaro e recuperare al PD il ruolo che gli compete.





giovedì 14 marzo 2013

Pensieri in libertà: Un partito con lo sguardo al futuro

In questi giorni, soprattutto dopo i risultati delle ultime elezioni politiche, si sta sviluppando in rete il dibattito sulle ragioni del deludente esito elettorale del Partito Democratico. Un dibattito, che in realtà, arrovella più gli elettori, tra cui il sottoscritto, che il gruppo dirigente.
Anzi, alcuni degli "spin doctor" della recente campagna elettorale del PD hanno candidamente dichiarato che l'esito infausto delle elezioni è stato la conseguenza della timidezza "ideologica" del partito che non avrebbe fatto proposte di sinistra. 
Chi dice questo, e lo dico della mia posizione di semplice elettore, non ha capito nulla di quello che vive la società italiana in quest'epoca o comunque ne vede solo una parte. Questi soloni dicono che "se c'era Renzi" il PD avrebbe guadagnato poco in termini percentuali e che, comunque, le politiche del lavoro di Renzi, quelle scritte da Ichino, se andiamo a leggere il magro risultato della Lista Monti, sono state bocciate dagli elettori.
Voglio aggiungere un'altra considerazione per smontare queste affermazioni, anche se basterebbe uscire dai palazzi della politica e parlare con le persone di questo paese per capirlo. La proposta "più di sinistra" all'interno della coalizione era rappresentata da SEL che ha raccolto 1.089.409 voti. Qualcuno potrebbe obiettare che la proposta di Vendola era "ingessata" in una coalizione in cui la linea politica era dettata dal PD. Se guardiamo fuori dalla coalizione, l'altra proposta marcatamente di sinistra era quella di Ingroia con Rivoluzione Civile e che ha raccolto 765.188 voti. Tra l'altro queste due proposte di "sinistra" hanno raccolto, sommate, 1.854.597 voti, molti di più di quanti ne raccolse nel 2008 la "Sinistra Arcobaleno" (1.124.298 voti). Con questo voglio dire che in realtà, a leggere i numeri, la coalizione di Centrosinistra ha fatto praticamente il pieno dei voti di sinistra, recuperando anche circa 450.000 voti alla proposta fuori dagli schieramenti e nonostante il calo dei votanti e nonostante che all'interno di RC vi fosse anche l'IDV.
E dove va ricercata la causa della migrazione dal PD di circa 3.500.000 voti rispetto a 5 anni prima? Questa è la domanda che i dirigenti del partito che ho votato si dovrebbero porre.
I numerosi scandali, l'assenza totale di relazione tra elettore ed eletto, l'autoreferenzialità di una classe dirigente che mentre chiede sacrifici ai cittadini non è in grado di chiederli a se stessa ha creato un solco difficilmente colmabile tra i partiti che hanno sostenuto il governo Monti e l'elettorato. Questo solco, poi, è ancora più marcato tra il PD ed il suo elettorato perché il partito non è stato in grado di rinnovarsi. In realtà, le primarie per i parlamentari hanno attutito l'urto ma sono state diluite, di fatto, dal cosiddetto "listino" dei nominati che, tra l'altro, in molti casi, non avevano alcun legame con i territori nei quali venivano candidati. 
La realtà, sempre secondo il mio modestissimo avviso, è che il PD, o per lo meno la classe dirigente che ha sostenuto Bersani alle ultime primarie e che ha diretto il partito in questa campagna elettorale, non è più in grado, per larga parte, di interpretare i mutamenti che sono intervenuti nella società italiana. La rabbia che sale da quanti, in questi mesi, hanno perso il lavoro e, peggio ancora, hanno perso totalmente la prospettiva del futuro, si è canalizzata in larga parte sul Movimento 5 Stelle. Sfido chiunque a dirmi quanti di quelli che hanno votato il Movimento 5 Stelle ne conoscevano il programma economico. Il voto dato è stato dettato dalla necessità di rinnovamento e contro quella classe dirigente percepita come autoreferenziale e privilegiata. 
Quindi, in questo momento il Partito Democratico avrebbe potuto interpretare a fondo il bisogno di rinnovamento, senza chiudersi a riccio nell'autotutela. Ma, a mio avviso, per interpretare questo rinnovamento il PD si dovrebbe aprire ed avere il coraggio di cambiare.
Ero iscritto ai Democratici di Sinistra, segretario di sezione in provincia di Caserta e componente della segreteria provinciale fino al 2007. Sono stato, prima ancora, nel 1995 tra i promotori dei Comitati Prodi in provincia di Caserta. Nel mio comune abbiamo costruito uno strettissimo legame tra i DS e la Margherita. Quindi, ero tra quelli più entusiasti della nascita del Partito Democratico, soggetto unico dell'area di "Centrosinistra senza trattino", però non sono mai stato iscritto al Partito Democratico. Non sono mai stato iscritto perché nel PD ho visto le stesse dinamiche interne ai DS, ma raddoppiate per la presenza degli ex Margherita. Il partito, invece di dimagrire, è ingrassato notevolmente aumentando il numero dei funzionari ed i costi di mantenimento. 
Poi è arrivata la proposta di Matteo Renzi per le primarie del Centrosinistra. A mio avviso, un'occasione persa. Voglio chiarire che io non mi definisco "renziano" perché per me i partiti personali, le identificazioni spinte, sono sinonimo di debolezza ideale sono da  paese "peronista". Tra l'altro, bisogna dare atto a Matteo Renzi di aver sempre parlato di "noi". Di un'idea di partito nuova, che sappia rinnovarsi negli uomini e nelle idee. Perché la società si evolve e, a mio avviso, non si possono interpretare i problemi del 3° millennio con i parametri del '900. Quella sfide che Matteo Renzi ha lanciato alla classe dirigente del partito ha rianimato me e tanti altri. Ho visto le tante battaglie che nei DS con tanti compagni abbiamo portato avanti senza tanto successo, da minoranza.
Non dimenticherò mai la discussione interna alla Direzione dei DS dopo la vittoria alle elezioni provinciali del Centrosinistra. Invece di discutere nel merito delle politiche e delle proposte che i DS volevano mettere in campo e portare nella nuova amministrazione provinciale, anche nel ricoprire ruoli assessoriali, si discuteva soltanto dei nomi, in gran parte senza alcuna competenza specifica e, spesso, già funzionari di partito. Com'è ovvio le elezioni provinciali successive il Centosinistra le ha miseramente perse.
Ecco, nel Partito Democratico, che può ambire ad essere un grande partito di massa, devono essere messi in atto meccanismi di ricambio automatico, forme di partecipazione nuove, merito e professionalità nei ruoli. Se accadrà questo, e lo si potrà fare solo attraverso un vero e radicale rinnovamento, il Partito Democratico potrà guidare l'Italia fuori da questa crisi e costruire un futuro più giusto per i tanti che oggi non hanno più speranza.