venerdì 10 maggio 2013

I diritti civili, la mia IMU

In qualità di elettore del Partito Democratico, nel periodo successivo alle elezioni, ho dovuto ingoiare numerosi rospi. L'ultimo e più grande è stata la formazione del governo di cosiddetta "Responsabilità". Un governo ed un sottogoverno che vedono tra i protagonisti numerosi "impresentabili".
In queste settimane di inizio attività governativa, la posizione di debolezza del PD ha portato Berlusconi ad occupare il campo della proposta politica. Mentre noi stiamo discutendo degli equilibri correntizi, lui ha inviato un messaggio chiaro al proprio elettorato. L'abolizione dell'IMU e la restituzione di quella versata lo scorso anno vengono ripetuti come un mantra dai peones berlusconiani.
Serve, quindi, un messaggio all'elettorato del Partito Democratico. Da un lato bisogna ripetere strenuamente che l'abolizione dell'IMU sulla prima casa per tutti quelli che hanno pagato fino a € 500 e la medesima riduzione per chi ha pagato di più era una proposta elettorale del PD. Dall'altro battere sulla questione dei diritti civili. Lo "ius soli". Le unioni civili. L'abolizione del reato di clandestinità. Il reddito minimo garantito. 
Incalzare la maggioranza parlamentare sulla questione dei diritti, senza abbandonare, ovviamente, i temi più prettamente sociali. Tutto questo sarebbe utile per attenuare il mio disagio da elettore PD.

mercoledì 8 maggio 2013

Lo Statuto del PD e le Primarie

Sabato prossimo si terrà, presso la Nuova Fiera di Roma, l'Assemblea Nazionale del Partito Democratico. L'oggetto ufficiale è la discussione delle dimissione del gruppo dirigente del partito, a partire dal segretario e dal presidente, e la convocazione del prossimo congresso nazionale, come previsto dallo Statuto.
La prima cosa da fare, una sorta di ripasso, è ribadire alcuni passaggi dello Statuto.
All'Articolo 1 (Principi della democrazia interna) recita testualmente: "1. Il Partito Democratico è un partito federale costituito da elettori ed iscritti, fondato sul principio delle pari opportunità, secondo lo spirito degli articoli 2, 49 e 51 della Costituzione. 2. Il Partito Democratico affida alla partecipazione di tutte le sue elettrici e di tutti i suoi elettori le decisioni fondamentali che riguardano l’indirizzo politico, l’elezione delle più importanti cariche interne, la scelta delle candidature per le principali cariche istituzionali". 
All'Articolo 2 (Soggetti fondamentali della vita democratica del Partito) recita testualmente: "4. Tutti gli elettori e le elettrici del Partito Democratico hanno diritto di: a) partecipare alla scelta dell’indirizzo politico del partito mediante l’elezione diretta dei Segretari e delle Assemblee al livello nazionale e regionale; b) partecipare alle elezioni primarie per la scelta dei candidati del partito alle principali cariche istituzionali; c) avanzare la propria candidatura a ricoprire incarichi istituzionali; d) prendere parte a Forum tematici; e) votare nei referendum aperti alle elettrici e agli elettori e prendere parte alle altre forme di consultazione; f) avere accesso alle informazioni su tutti gli aspetti della vita del partito; g) prendere parte alle assemblee dei circoli; h) ricorrere agli organismi di garanzia e riceverne tempestiva risposta qualora si ritengano violate le norme del presente Statuto, quanto a diritti e doveri loro attribuiti".
Quindi, nessuno provi a superare le primarie come metodo di scelta delle cariche di partito! 

domenica 5 maggio 2013

L'orizzonte democratico

Il mancato successo elettorale della coalizione Italia Bene Comune e le dissennate scelte della classe dirigente del Partito Democratico nella fase post elettorale hanno messo in crisi partito. Ne hanno danneggiato le idee fondanti. Quella di un grande partito a vocazione maggioritaria nel campo del Centrosinistra e capace di superare gli schemi del '900. Quella di andare oltre la fusione di due partiti e capace di attrarre pezzi di società.
Ma per fare questo c'era bisogno di una nuova classe dirigente. Non possiamo chiedere ad un anziano, anche se ci possono essere delle eccezioni, di spiegarci le innovazioni tecnologiche di internet. Così non possiamo chiedere alla classe dirigente che ha vissuto a cavallo della caduta del muro di Berlino di guidare il partito nel terzo millennio.
La frattura più profonda non è tanto ideologica o, a dir meglio, ideale. La frattura è generazionale. La nuova generazione di leader politici del PD, quelli usciti dalle primarie per intenderci, pur con valutazioni diverse pongono due temi assolutamente condivisibili e comuni:
1) Aprire il partito alla società facendo entrare quanto di buono e nuovo vi è presente. Un flusso che inondi il partito senza protezioni corporative. Che lo contamini veramente. Con dinamiche automatiche di rinnovamento. Che continui ad utilizzare le primarie come strumento di selezione della classe dirigente. Che questo, però, non significhi trasformismo. Personalmente vedo, come penso tutti, il passaggio di singoli soggetti da uno schieramento all'altro a seconda del vento. Bisogna mettere un freno a queste dinamiche.
2) Il senso di appartenenza. Un sentimento antico e poco di moda nell'epoca del trasformismo. Nell'epoca di chi fonda un nuovo soggetto politico ogni qualvolta c'è un dissenso. Tutti parlano di cambiare il Partito Democratico senza fondare un nuovo soggetto. Anche quando lo scontro è duro. Anche quando a confrontarsi sono idee anche profondamente diverse.

Temo, però, che il lavoro sarà molto più duro del previsto. L'azione restauratrice della classe dirigente degli "ex", quelli che intendono chiudere il partito in questa fase, quelli che vogliono mettere da parte lo strumento delle primarie, rischia di svuotare il partito dai suoi elettori.
Per questo non si potrà fare nessun passo indietro e sarà necessaria la massima partecipazione possibile. Chi strappa o brucia la tessera e abbandona il partito ha già perso. 

sabato 4 maggio 2013

E' colpa dello Stato o facile vittimismo?

In questi giorni è esplosa forte l'avversione nei confronti dello Stato, nei confronti della classe politica di questo paese.
A partire dall'evento che ha visto tristemente protagonista uno squilibrato (Preiti) e due carabinieri durante il giuramento del Governo Letta domenica 28 aprile scorso, molti hanno cercato la giustificazione di quel gesto nell'assenza dello Stato. 
Il 1 maggio scorso, un muratore di Albanella, comune in provincia di Salerno, si è suicidato a causa della perdita del lavoro. I familiari hanno fatto scrivere sul manifesto "Da parte della famiglia Carrano: tutto questo a causa dello Stato. Grazie".
Domani potrà accadere che qualcuno tenterà di giustificare i femminicidi di questi giorni come esplosione repressa della rabbia sociale nei confronti dello Stato che si manifesta ai danni del soggetto più debole.
Quanti, in questi giorni, pur condannando i tragici eventi del giorno del giuramento del governo Letta, hanno tentato di ricercare le ragioni, se ce ne sono, per le quali è maturata l'intenzione di Preiti di commettere quel gesto efferato, sono stati oggetto di fortissime critiche. E' stato evocato il giustificazionismo del periodo brigatista da parte di pezzi del Partito Comunista.

Lo dico con chiarezza. Non esistono giustificazioni alla violenza. Non possono esistere. Gli inquirenti devono agire con durezza nei confronti di questi soggetti per evitare che si ripetano altri gesti folli. Ma la politica deve analizzarne le ragioni. Se ci sono, deve rimuoverne le cause. Deve, soprattutto, agire con politiche che rimuovano il senso di abbandono e frustrazione che ha colpito tantissimi cittadini di questo paese. E' in questa parte di società che, ahimè, si trovano focolai di giustificazione degli atti compiuti da quello squilibrato.
Però una cosa va detta. Poco di moda. E' facile prendersela con lo Stato. Inveire contro la classe politica che, egoista, vive al di sopra di tutto e di tutti. Ma lo Stato siamo noi.
Lo Stato è chi paga le tasse e chi non le paga perché non le vuole pagare.
Lo Stato è chi fa la raccolta differenziata e chi abbandona rifiuti in strada.
Lo Stato è chi rispetta la legge e chi delinque.
Lo Stato è chi vota e chi non vota.
Lo Stato è chi nel votare cerca la persona perbene e chi nel votare cerca la persona che più può servire al suo scopo, anche se illecito.
Lo Stato è chi rispetta la legge e chi non la rispetta.

Per queste ragioni la classe politica, che per le elezioni politiche non possiamo neanche selezionare per colpa di una legge barbara, rappresenta tutti noi. Nel bene e nel male.
Molto spesso alla base di questi suicidi o fatti di cronaca ci sono fallimenti personali, scelte familiari sbagliate, eventi tragici, abitudini dissennate.
E' troppo facile scaricare le responsabilità sugli altri. Su questa entità astratta che è lo Stato.
Voglio portare qualche esempio a supporto di questa tesi.
Siamo a Cervino, una cittadina in provincia di Caserta di circa 5000 abitanti. Si vota per il candidato sindaco del Comune. Si ripresenta il sindaco uscente, eletto a maggioranza quattro anni prima. Nel suo primo mandato, tra le varie cose, si è distinto per la scarsa trasparenza amministrativa e per aver fatto un concorso pubblico per un solo posto di vigile urbano vinto dal figlio. Una cosa che in un paese normale non poteva neanche essere pensata e che, qualora fosse avvenuta, avrebbe scatenato magistratura, consiglieri comunali di maggioranza e cittadinanza. E che, comunque, di fronte alla sordità dell'amministrazione avrebbe dovuto trovare sfogo nelle urne. Invece, il sindaco uscente rivince le elezioni comunali passando da meno del 40% di quattro anni prima al 52,5%.  Se chiedevi agli elettori perché lo rivotavano nonostante tutto, queste erano le spiegazioni più usate: "Io al posto suo avrei fatto lo stesso per mio figlio disoccupato"; "Ora può fare il bene del paese perché non ha più nessuno da sistemare". Siamo nel 2004 e l'economia italia è ancora florida. Qualche anno dopo questo sindaco sarà vittima di un efferatissimo delitto. Siamo al sud, risponderebbe qualcuno.
Siamo nel Lazio e siamo nel marzo del 2010. Colui che sarebbe diventato presidente del consiglio regionale viene eletto nelle liste del PDL con 22.553 preferenze su 103.131 voti di lista in provincia di Frosinone. Il consiglio regionale del Lazio alla fine del 2012 sarà travolto dagli scandali che porteranno la presidente Polverino alle dimissioni. Famosi gli arresti di Maruccio (Italia dei Valori) e di Fiorito (Popolo delle Libertà). In particolare quest'ultimo, sullo scandalo dei fondi Pdl, dichiarerà che del 'Sistema Lazio' è stato "dominus", garante e architetto, il presidente dell'Assemblea regionale. Nel febbraio di quest'anno quello stesso esponente politico, nonostante lo scandalo in cui è stato coinvolto e sul quale pende un'indagine della magistratura (e per cui ogni cittadino è innocente fino a prova contraria), sarà premiato dagli elettori della provincia di Frosinone con 15.469 preferenze su 73.104 voti al PDL. Risulterà il primo ed unico eletto nella provincia di Frosinone del partito. Sarà poi designato come grande elettore del Lazio per parte della minoranza consiliare. 
Siamo in Lombardia, dopo 20 anni di governo entra in crisi la gestione regionale Formigoni/Lega a causa dei numerosi scandali che hanno colpito i consiglieri regionali ed i componenti del governo regionale, a partire dal presidente. Una serie di scandali che hanno visto protagonisti, con diverse gradazioni, esponenti di quasi tutti i gruppi consiliari. Ma, com'è ovvio, hanno colpito principalmente i partiti di governo con particolare riferimento alla Lega. Nel febbraio scorso i cittadini lombardi confermano a maggioranza con il proprio voto lo stesso asse politico che aveva guidato la regione nei 20 anni precedenti cambiando soltanto il timoniere.
Con questi esempi, se ne potrebbero fare tantissimi altri, voglio testimoniare che la maggioranza di questo paese vive in questo sistema e di questo sistema. Quando si vota   una larga fetta della popolazione, spesso in maggioranza, dimostra di non voler cambiare le cose. Si tende troppo facilmente a giudicare gli altri ed a richiedere loro una moralità che non si dimostra di avere in prima persona. Bisogna tornare, parlo di me, ad impegnarsi per cambiare le cose. A confrontarsi con la società nella quale si vive. L'impegno può essere espresso in tanti modi. Nel lavoro, nelle professioni, nell'impresa ed anche in politica. In poche parole l'impegno deve essere espresso in ogni atto quotidiano. Solo così, mettendo da parte un poco di egoismo, senza dare facili responsabilità allo Stato, si può migliorare la propria vita e quella di chi verrà.

Le colpe del disastro sono chiare


Il disagio esiste ed è profondo. Qui al sud è ancora più avvilente. Non possono essere nascosti gli errori commessi in questi anni dalla classe dirigente politica, imprenditoriale e bancaria. Una classe dirigente che ha vissuto totalmente scollegata dalla stragrande maggioranza della popolazione. 
Penso al rapporto tra la paga media del lavoratore di un'azienda e quello del manager. Nel periodo del boom industriale questo rapporto era nell'ordine di 1 a 10. Oggi il rapporto è di 1 a 10.000. 
Giovedì scorso, seguendo la trasmissione "Servizio Pubblico" su La7, i cittadini di Rosarno in Calabria, nello snocciolare l'avversione nei confronti della classe politica, dichiaravano cifre impressionanti in riferimento alla paga dei politici. Chi parlava di 100.000 euro al mese. Chi di 3.000 euro al giorno. Numeri sballati rispetto alla realtà ma che illustrano chiaramente la percezione della distanza tra il "mondo reale", con i suoi disagi, ed il mondo politico, con i suoi privilegi.
A questo scollamento ha contribuito, in maniera non trascurabile, la legge elettorale esistente per l'elezione dei componenti delle due camere legislative (voluta da una maggioranza composta da Forza Italia, Lega Nord, Alleanza Nazionale e UDC nel 2006 a pochi mesi dalle elezioni politiche). I parlamentari, spesso neanche residenti nei territori in cui vengono candidati, non hanno bisogno di avere alcun legame con il territorio elettorale. Non è più necessario rendere conto agli elettori nel proprio collegio elettorale. Ecco perché la fiducia nei partiti è scesa al 4%.
Di tutta questa situazione bisogna trovare delle responsabilità, parlando chiaro. Dall'undici giugno 2001, giorno dell'insediamento del II governo Berlusconi, all'insediamento del governo Letta sono trascorsi circa 12 anni (4216 giorni). In questo periodo Berlusconi è stato primo ministro per 3070 giorni (pari al 72,82% del tempo). Il PDL (prima del 2008 esistevano Forza Italia ed Alleanza Nazionale) è stato in maggioranza anche durante il governo Monti (durato 529 giorni, considerando anche l'ordinaria amministrazione dopo le dimissioni intervenute nel dicembre del 2012) e, quindi, per 3599 giorni (pari al 85,37% del tempo). Il PD (prima del 2008 esistevano i Democratici di Sinistra e La Margherita) è stato al governo, con Prodi, dal 17/05/2006 al 24/01/2008, per 617 giorni (pari al 14,63% del tempo). Se consideriamo anche la partecipazione alla maggioranza di Monti i giorni al governo per il PD salgono a 1146 (pari al 27,18% del tempo). Questo tralasciando i rapporti di forza all'interno della maggioranza parlamentare del governo Monti. Il PDL aveva un gruppo parlamentare praticamente doppio rispetto a quello del PD.
Ci soffermiamo su questi 12 anni perché, notizia di qualche ora fa, l'economia italiana è arrivata ai livelli del 2001. Da questi numeri si può comprendere come le responsabilità non possono essere equamente distribuite. C'è un chiaro responsabile del disastro italiano.