giovedì 25 aprile 2013

Chiamiamola grande sinistra o centrosinistra, ma facciamolo insieme e senza tabù

Il 20 aprile scorso, dopo la rielezione di Napolitano alla Presidenza della Repubblica, usciva questa agenzia:
"Dopo la ricandidatura di Giorgio Napolitano al Quirinale Sinistra, ecologia e libertà è 'impegnata a ricostruire dalle fondamenta una sinistra di governo': lo ha detto Nichi Vendola in una conferenza stampa a Montecitorio nella quale ha annunciato: 'L'otto maggio a Roma convocheremo la prima assemblea di popolo per lanciare questo nuovo percorso, questo cantiere'. Ai cronisti che domandavano se Fabrizio Barca del Pd convergerà, Vendola ha risposto: 'Tutti coloro che dopo lo schianto del Pd sono interessati, sono benvenuti'. 'Non lavoro e non lavoravo a svuotare il Pd, ci pensa qualcun'altro', ha detto Vendola, 'non lavoriamo ai fianchi del Pd per sfilare due o tre parlamentari, ma siamo curiosi di sapere dove andrà il Pd'. Sel, ha precisato Vendola, intende 'accelerare i tempi' per l'adesione al gruppo del Partito socialista europeo all'Europarlamento". 
Immediatamente dopo questo annuncio veniva sondato l'elettorato sull'ipotesi di un voto con la presenza di due liste a sinistra. Un PD guidato da Renzi ed un partito di sinistra guidato da Vendola, Barca e Landini. Il PD veniva quotato al 35% mentre il nuovo partito della sinistra veniva quotato all'11%. Quindi, elettoralmente, basandoci esclusivamente sui sondaggi, questa scissione porterebbe il Centrosinistra ad una crescita di circa 16 punti percentuali rispetto alle ultime elezioni politiche. 
Il tema vero, però, è quale sinistra vogliamo costruire o ricostruire. Potrebbe convenire  elettoralmente avere due sinistre, ma è giusto? Serve all'Italia ed alla parte di popolazione cui ci si riferisce?
Dico la mia. Non voglio discutere del sistema di valori che unisce tutti noi. Quelli, insomma, della prima parte della costituzione. Quella dei diritti umani, civili e sociali. Quella dell'inclusione sociale. Quella del rispetto delle diversità. Quella della garanzia dei più deboli. Su questo concorderemmo facilmente. 
Non voglio discutere neanche delle forme di partecipazione al partito cui ha dedicato molto tempo il ministro Fabrizio Barca e sulle quali concordo.
Voglio discutere dell'idea di costruire un grande partito delle sinistre. Un partito, non massimalista, che contenga tutte le anime della sinistra. Da quella liberale, a quella egualitaria, a quella socialista o socialdemocratica fino ad arrivare alla sinistra più ideologica ma responsabile.
La mia sinistra si deve proporre come scopo assoluto quello di lavorare per giungere alla reale applicazione di quanto previsto dall'articolo 4 della nostra Costituzione "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto".
Lo dico chiaramente, a me non interessa una sinistra pura che non incida. Che a costo della propria purezza non si ponga il tema del governo. Che non ponendosi il tema del governo deleghi agli altri l'onere della scelta.
Serve una sinistra che, per la stessa nuova articolazione della società italiana, assolva ad una responsabilità profonda e non ideologica. Vendola, ad esempio, pur simbolo di una sinistra molto ideologica, è profondamente diverso dai partiti della cosiddetta Sinistra Arcobaleno. Una Sinistra, quest'ultima, che punta più alla propria purezza che a concorrere alla soluzione dei problemi della società italiana. Una società profondamente diversa da quella uscita dal dopoguerra. La sinistra, quindi, non può essere più quella del '900.
Diciamolo chiaramente ancora una volta. Quella sinistra ideologica massimalista (ed io sono di sinistra) nasce da una società post bellica in cui al tema della crescita economica si doveva far corrispondere il tema delle condizioni di lavoro. Garantire condizioni di lavoro di qualità. Garantire la dignità del lavoro. E' un tema, questo, che si stanno ponendo, ad esempio, nei paesi in via di sviluppo. Dove la crescita economica sta portando, più velocemente che nell'Europa del secolo scorso, ad una richiesta di diritti generalizzati.
Noi, invece, siamo in una società in profonda recessione. Ci sono parti della società italiana, soprattutto giovani e donne, espulse dal sistema produttivo e senza alcuna speranza di rientrarvi a breve. Molti non cercano neanche più lavoro.
Non si può pensare che lo Stato si possa sostituire all'iniziativa privata. Le cosiddette partecipazioni statali sono state fallimentari. Ci vuole uno stato più leggero, più sostenibile. Uno Stato regolatore, non attore, che intervenga, però, quando necessario.
Siamo un paese che vive di spesa pubblica. Lo abbiamo visto chiaramente. La riduzione delle spesa pubblica di questi anni, per effetto soprattutto delle politiche di riduzione del deficit richieste dalla Comunità Europea, ha contratto la circolazione di moneta interna ed ha ridotto i consumi avvitando l'economia italiana in una recessione molto peggiore rispetto a quella degli altri paesi europei. In sostanza in Italia abbiamo avuto una crisi generata sia da fattori internazionali (la crisi del sistema finanziario) sia da fattori interni (la contrazione della spesa pubblica).

Sono anni che nessun governo, l'ultimo è stato il primo governo Prodi, non mette in campo serie politiche industriali nazionali. Il tutto condito da un'altissimo costo del lavoro cui, paradossalmente, corrispondono basse remunerazioni per i lavoratori (si osservi la tabella).
La classifica dell'Ocse sul costo del lavoro
Contribuisce anche un'altissima tassazione che incide su una base imponibile ridotta dalla paurosa evasione fiscale. Questo ha ingenerato un'economia prevalentemente basata sui servizi, che vive di spesa pubblica.
Le uniche aziende che continuano a produrre in Italia, sono quelle del settore del lusso, dell'abbigliamento, del made in Italy. Queste aziende grazie alle  esportazioni non sono in crisi perché concorrono sulla qualità dei prodotti, non sul prezzo.
La mia sinistra deve porsi il problema di migliorare la vita delle persone, di tutte le persone. Invece, la sinistra viene percepita come quella che tende a garantire solo chi il lavoro ce l'ha già.
Non sto dicendo che la mia sinistra debba consentire il proliferare di lavori sottopagati, insicuri e di scarsissima qualità. E' in questo sistema che proliferano i Call Center, in cui i lavoratori sono costretti a lavorare per pochi euro al giorno. E' in questo sistema che vediamo la nascita di tante cooperative di lavoratori all'interno delle aziende per aggirare i vincoli ai licenziamenti. Bisogna rivoltare il concetto di lavoro. Si può aspirare ad un sistema del lavoro che premi i lavori di qualità? Che introduca riduzioni del cuneo fiscale per quelle aziende che migliorano le condizioni di lavoro dei propri dipendenti? Che investono in sicurezza? Che aumentano l'incidenza del costo della manodopera rispetto al fatturato? Che riducono i tempi di pagamento dei fornitori, a patto che la pubblica amministrazione rispetti i suoi?
Ma per fare questo bisogna abbattere qualche tabù. Bisogna accettare la flessibilità del lavoro, quella di qualità e soprattutto accompagnata da un sistema di tutele e di assistenza che accompagni il lavoratore da un lavoro all'altro. Non esistono contratti che, in questa fase, garantiscano il lavoro a tempo indeterminato. Le aziende falliscono ed i lavoratori restano senza lavoro e senza le ultime retribuzioni ed il TFR.
Nessuno, però, può abbattere le forme di tutela dei lavoratori nei confronti dei licenziamenti senza giusta causa. Si può discutere delle conseguenze per l'azienda e per il lavoratore. Il reintegro disposto da un giudice non lo ritengo, oggettivamente e per conoscenza diretta della questione, una soluzione. Cosa diversa è la leva economica. Tramutare il licenziamento del lavoratore in un'indennità, quando non dettato da una giusta causa.
Dobbiamo abbattere i tabù per rimuovere gli ostacoli alla crescita economica ma fare in modo che il benessere conseguente raggiunga tutti.
Lo Stato, dopo una cura dimagrante, deve fungere da regolatore ma non può essere un attore. Ovviamente, per quanto mi riguarda, la Sanità, l'Istruzione e la gestione dei "Beni Comuni" non possono che essere solo pubblici. Non può esserci privato. Non si possono sottomettere questi temi alle dinamiche del mercato e del profitto.
Lo Stato deve, quindi, occuparsi di garantire a tutti i cittadini italiani condizioni minime di sopravvivenza introducendo, ad esempio, il reddito minimo garantito.
Ecco, la mia sinistra dovrebbe essere questa. Dovrebbe lavorare veramente al miglioramento delle condizioni di vita di tutti rimuovendo le cause ostative.
Da queste premesse, per me, dovrebbe rinascere il Partito Democratico.

mercoledì 24 aprile 2013

Il disastro più disastroso

Fra poco tutti noi, che abbiamo votato il Partito Democratico come alternativo al Popolo delle Libertà, ci troveremo catapultati nel "governissimo" politico.
Siamo partiti dal governo Monti, sostenuto da PD-PDL-UDC, e arriviamo ad un governo Letta, sostenuto da PD-PDL-LC. Le uniche novità, in sostanza, sono la presenza di Lista Civica, ovvero la tramutazione politica della parte tecnica di quel governo, e la presenza di ministri politici dei due principali partiti.
E' il gioco dell'oca. C'è, però, una differenza sostanziale. Il governo Monti nasceva dal fallimento del Centrodestra berlusconiano, dopo tre anni e mezzo di governo, mentre il nuovo governo nasce dal fallimento del Centrosinistra bersaniano, senza un giorno di governo. 
In poche parole un disastro!
Ma il "disastro più disastroso" è l'esserci arrivati dopo 60 giorni dalle elezioni, quando l'esito cui si è giunti era ineluttabile fin dall'inizio, a meno che non si preferissero le elezioni.
Le ragioni di quello che è accaduto, sarò ripetitivo, sono da ricercarsi nell'esito delle elezioni primarie per la scelta del candidato premier del centrosinistra. La vittoria di Bersani, infatti, nasceva dal "patto di sindacato" della classe dirigente dei due partiti dal cui scioglimento è nato il PD. Con le parlamentarie, che hanno avuto un limite oggettivo dettato dallo scarso tempo disponibile per organizzarle, si è cercato di ridurre il tasso di conservazione del partito. Questo, in realtà, ha acuito la distanza tra la vecchia dirigenza, con i suoi nominati, e le nuove leve provenienti dalle parlamentarie e, pertanto, con un maggiore contatto con la base. Questa distanza, in realtà, è la conseguenza di una legge elettorale che, dal 2006, non richiede più il legame, la sintonia necessaria tra l'eletto e l'elettore
Tralasciando la gestione della campagna elettorale, che ha vissuto l'esplosione nelle urne delle istanze di cambiamento di cui è stato portatore Renzi alle primarie, si è sbagliata la gestione della fase post-elettorale.
La prima mossa fatta dal centrosinistra, l'elezione dei presidenti delle due camere, è stata straordinariamente positiva. Proporre Laura Boldrini e Piero Grasso, alla loro prima esperienza parlamentare e con storie personali di impegno civile e sociale, ha rappresentato l'indubbio successo di una strategia. Ha messo in crisi l'unità del Movimento 5 Stelle al Senato ed ha parlato ai propri elettori, presenti e passati, fuori dal Parlamento.
Visto il dato elettorale e la sua proiezione parlamentare al Senato, se la strategia, nel senso alto del termine, era quella di perseguire la strada del cambiamento e del rinnovamento bisognava chiedere al Presidente della Repubblica la designazione di un Presidente del Consiglio che non poteva essere Bersani. Proprio per ripercorrere le orme delle scelte Boldrini e Grasso. Proprio per parlare a quel mondo cui ci si era riferiti con quelle scelte.
Si è insistito, invece, affinché destinatario dell'incarico di formare il nuovo governo fosse il segretario del PD, quand'anche legittimato da elezioni primarie, che non aveva però condotto la coalizione Italia Bene Comune ad avere la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. E che, tra l'altro, veniva percepito come elemento di conservazione in contrasto con le richieste di rinnovamento provenienti dalla urne. A mio avviso ingiustamente, anche se nelle primarie si è proposto come elemento di continuità nel partito in contrasto con l'elemento di rinnovamento costituito da Renzi.
Una volta incaricato, Bersani ha perorato la causa del governo del cambiamento chiarendo, a chiare lettere, che non vi erano alternative. Nessuna possibilità di accordo con il Popolo delle Libertà poteva esserci per la formazione del governo. Spiegando chiaramente ed in maniera condivisibile le ragioni dell'impossibilità di perseguire la ricerca di una base parlamentare che contenesse organicamente il Popolo delle Libertà.
Questa strada, com'è oramai ovvio, non solo è fallita ma non ha ingenerato nessun profondo dibattito nel Movimento 5 Stelle, come invece era accaduto con la candidatura di Grasso al Senato. E' anche vero che Bersani non ha avuto la possibilità di portare in Parlamento la sua proposta per il fatto che il Presidente della Repubblica, nella fase terminale del suo mandato, non ha voluto rischiare quella che, oggettivamente, appariva come una forzatura.
Anche dopo la nomina dei saggi e "l'assorbimento" del suo incarico, Bersani ha continuato ad esprimere la propria contrarietà al governissimo come dal giorno successivo alle elezioni. In poche parole, il Partito di riferimento di una parte degli italiani, votato sulla base di alcune idee e sulla siderale distanza dai fallimenti del governo del Centrodestra, si è proposto ed ha "convinto" la propria base elettorale, i propri iscritti, i propri parlamentari a perseguire un percorso chiaro e alternativo al governissimo.
Ci si attendeva la stessa determinazione per la scelta del Presidente della Repubblica. Si  è proposta, invece, una rosa di nomi che andava in una direzione diametralmente opposta a quello cui fino ad allora si era andati. Ne ho parlato ampiamente nel post http://pensierilibdem.blogspot.it/2013/04/un-presidente-per-litalia.html.
Si arriva, in questo cambio di rotta radicale, alla scelta di Marini. Una scelta verso il governissimo. Lo dimostra quello che ha detto lo stesso Marini dalla Annunziata su Rai3 domenica scorsa. Questi, candidamente, ha dichiarato che la strada che lui, da Presidente della Repubblica, avrebbe intrapresa era quella dell'impegno diretto delle singole forze politiche, quand'anche elettoralmente alternative, nel governo.
A quel punto era ovvio che tutto quel mondo che aveva seguito Bersani nel ragionamento del cambiamento si è sentito tradito ed ha reagito. A questo si aggiungano alcune vecchie ruggini riesplose tra gli ex DS e gli ex Margherita. 
Il nome di Prodi, invece, ha rappresentato il tentativo di tornare sui propri passi. Di tornare al messaggio di contrapposizione col Centrodestra. Ma, come dimostrano i fatti, quelli che si erano avviati sulla strada del governissimo e che avevano partorito la rosa dei nomi per la Presidenza della Repubblica, hanno reagito impallinando la candidatura di Prodi.
Tornando alla premessa, il Partito Democratico imboccherà, costretto, l'unica strada che era chiaro dovesse imboccare fin dall'inizio se voleva dare un governo all'Italia. Con la differenza che dicevo, il "disastro più disastroso", farlo ora con partito distrutto e con un elettorato lacerato. Se fin dall'inizio si fosse spiegato chiaramente che non c'erano alternative, o il voto o il governissimo, ci saremmo risparmiati la distruzione del partito. A mio avviso, nelle condizioni iniziali, l'unica strada sensata da intraprendere era quella del voto. Anche con questa legge elettorale oppure, approfittando del semestre bianco di Napolitano, far funzionare da subito il parlamento per modificarla. 
Lo dico chiaramente. Sento fortissimo il disgusto per la prospettiva del govenissimo con il PDL. Ritrovarmi, tanto per fare qualche nome, con la Gelmini all'Istruzione piuttosto che con Alfano alla Giustizia piuttosto che con Quagliariello alle Riforme Istituzionali, è per me subire una violenza inaudita. Ma, ovviamente, in questo momento, è l'unica strada possibile. Una larghissima parte della popolazione italiana chiede un governo. Chi produce chiede un governo. Chi lavora chiede un governo. Chi non lavora chiede un governo. Gli esodati chiedono un governo. Le famiglie chiedono un governo. I mercati chiedono un governo. Temo, però, che un governo con una maggioranza così variegata non sarà in grado di dare risposte pienamente adeguate alle vere esigenze dell'Italia. Ciò non di meno, questo tempo consentirebbe al Partito Democratico di avere la possibilità di decidere definitivamente il proprio orizzonte. Ricostruire un partito dal basso attraverso un ricambio generazionale e culturale profondissimo. 
Per questo sarebbe opportuno evitare un congresso a brevissima scadenza. Infatti, per Statuto si cristallizzerebbe la platea degli iscritti al momento della convocazione. Questo a meno che non si consenta ad associazioni, comitati e personalità di area di aderirvi nel tempo intercorrente tra la convocazione ed il congresso. Ecco, per questa ragione rilancio l'idea dei "Comitati per il Nuovo Partito Democratico" sullo schema dei "Comitati per l'Ulivo". Per questo, molto modestamente, ho creato l'indirizzo e-mail costruiamoilnuovopd@gmail.com al quale inviare idee e disponibilità.
Inviatemi le vostre idee. Costruiamo la rete reale. Nel mio piccolo farò circolare tra tutti le idee che arriveranno. Per questo spero che nessuno abbandoni il Partito in questo momento. Soprattutto nessuno di quelli delle nuova generazione. Dobbiamo ripartire insieme e da qui.

domenica 21 aprile 2013

Il mio commento alle parole di Civati http://www.ciwati.it/2013/04/21/quelli-di-sinistra-che-odiano-la-sinistra/#comment-214087


Condivido molto delle tue parole. Soprattutto l’appello a restare dentro per cambiare questo partito. Ma ritengo che la colpa non è solo e soltanto di “quelli-di-sinistra-che-odiano-la-sinistra” ma di una classe dirigente che non è più in grado di interpretare non solo il paese e la nuova società ma soprattutto l’elettorato del partito. Un elettorato che, in verità, è molto variegato e va, o dovrebbe andare, oltre la sola sinistra.
E’ stato lo spirito di conservazione di quel gruppo dirigente che alle primarie ha sostenuto Bersani a decidere la composizione della rosa di nomi da sottoporre alle altre forze politiche. Era la rosa ad essere inadeguata, a non garantire l’unità del partito. Il PD si sarebbe frantumato anche se la scelta di Berlusconi fosse caduta su un nome diverso da Marini ma rientrante nella rosa proposta. Quindi è stato sbagliato il criterio di scelta di quei nomi. La rosa, a mio avviso, doveva essere costruita interpretando lo spirito alto del Partito Democratico più che vedere rappresentati i vari capibastone del “Patto di Sindacato” tra ex Comunisti ed ex Democristiani. La rosa doveva essere ideata in modo da rappresentare una proposta al rialzo da offrire a tutti i gruppi presenti in parlamento e non solo al Centrodestra. L’altro errore, quindi, è stata la scelta dell’interlocutore preferenziale. Una scelta diametralmente opposta a quella portata avanti nella formazione del governo del cambiamento e, quindi, incomprensibile per l’elettorato. Anche se io penso che il Movimento 5 Stelle non abbia alcun interesse ad accordi ma il suo scopo principale è quello di abbattere i partiti esistenti con preferenza per il Partito Democratico. Da qui la candidatura di Rodotà in grado di parlare più all’elettorato del PD che alla sua classe dirigente. In questo hanno usato Rodotà (che si è prestato e glene faccio una colpa) come “piede di porco” per divaricare i parlamentari del PD dal loro elettorato.
Bisognava proporre una rosa diversa. Che comprendesse nessuno dei nomi fatti a Berlusconi. Doveva, invero, contenere, ad esempio, i nomi di Prodi, Rodotà, Bonino, Zagrebelsky. Doveva contenere figure che da un lato parlavano al mondo dei 5 Stelle ed all’elettorato del PD, dimostrando la volontà di perseguire il cambiamento di cui parlato da giorno delle elezioni in poi, dall’altro costringessero il PDL a fare una scelta o verso il meno peggio per loro tra quei nomi o verso le barricate. A quel punto si sarebbe potuto votare anche Rodotà. Qualunque di quei nomi avrebbe rappresentato, quand’anche ci fosse stato il sostegno del PDL, una scelta al rialzo come fece Veltroni per l’elezione di Ciampi.
Poi, il vero peccato originale di questa fase è stato forzare con il voto a Marini nonostante il partito al Capranica si fosse mostrato profondamente spaccato e tutti gli alleati del PD, da Sel al Centro Democratico passando per i Socialisti, non erano d’accordo. Quel voto forzato ha spinto al sostanziale liberi tutti che ha portato al sacrificio di Romano Prodi. Un dispetto fatto a noi elettori più che a una corrente o ad un leader specifico.
Ora, però, bisogna ricostruire partendo dal basso e da voi “giovani”, anche se è un termine che non mi piace, preferirei quelli che non sono ne ex Comunisti ne ex Democristiani. In poche parole la nuova classe dirigente del Partito. Incontratevi e superate le divisioni personali. Recuperate lo spirito unitario quello, ad esempio, che animava i Comitati per l’Ulivo. Ripartiamo da lì. Superiamo la fusione a freddo. Incontratevi tu, Renzi, Orfini, Moretti, ecc. e costruite una piattaforma comune lanciando l’idea unitaria di ricostruire il Partito Democratico. Lanciate una campagna di adesioni per la rivoluzione di cui parli nel Post. Un patto generazionale è l’unica salvezza. Poi potrete dividervi sulle idee ma dovete restare uniti sui valori, sull’identità. Sarò tra i primi aderenti. Anzi nel mio piccolo, con la mia piccolissima rete, lancerò una limitata campagna di adesione ai “Comitati spontanei per il nuovo Partito Democratico”.
Scusami per la lunghezza del commento ma sono tuo coetaneo e vedo in te ed in alcuni altri il futuro del partito che sogno da due decenni e a cui non ho potuto aderire ancora.
Grazie

sabato 20 aprile 2013

La lettera che Stefano Rodotà non leggerà mai

Caro Presidente,
per me è il Presidente del Partito Democratico della Sinistra al quale, da giovanissimo, mi avvicinai anche grazie alla sua personalità.
Con rispetto e gratitudine per il ruolo avuto nella mia formazione politica le scrivo questa lettera pur non sapendo se potrà mai leggerla. 
Le scrivo per dirle che questa volta non l'ho compresa e non mi è piaciuto.
Si è prestato ad un'operazione di scardinamento del Partito Democratico. Un'operazione finalizzata ad accentuare le difficoltà tutte interne al Partito al quale, penso di non sbagliare, si sente, come me, più vicino o meno lontano. 
Si è prestato al tentativo, come ben scriveva lei qualche mese fa, di distruggere la democrazia rappresentativa partendo dal partito con il più alto tasso di democrazia interna.
Nel luglio del 2012, in un'intervista alla rivista Left-Avvenimenti, diceva: 
"Grillo è figlio di tutto quello che non è stato fatto: la perdita di attenzione per le persone, la corruzione, la chiusura oligarchica. Gli ultimi due Parlamenti li avranno scelti al massimo 20 persone. In questo clima, ci dobbiamo aspettare fenomeni alla Grillo. Anzi, può darsi che ne vengano fuori altri, anche più pericolosi. Il fatto è che il populismo berlusconiano non è stato letto con la dovuta attenzione critica dalla sinistra. Ricordo bene cosa si diceva dopo la vittoria del 1994: Berlusconi ha fatto sognare, noi no. Altan, il più grande commentatore politico che ci sia in questo momento, ha disegnato uno dei suoi personaggi che diceva: «Non fatemi sognare, svegliatemi». La sinistra non è stata capace di andare alla radice culturale e politica del populismo berlusconiano. Quella deriva aveva un precedente negli anni del craxismo. Comincia allora la rottura, la corruzione giustificata, esibita, il disprezzo per la politica e per «gli intellettuali dei miei stivali». Anche oggi vedo grandi pericoli. Il fatto che Grillo dica che sarà cancellata la democrazia rappresentativa perché si farà tutto in Rete, rischia di dare ragione a coloro che dicono che la democrazia elettronica è la forma del populismo del terzo millennio. Queste tecnologie vanno utilizzate in altri modi: l’abbiamo visto con la campagna elettorale di Obama e nelle primavere arabe. Poi si scopre che Grillo al Nord dice non diamo la cittadinanza agli immigrati, al Sud che la mafia è meglio del ceto politico, allora vediamo che il tessuto di questi movimenti è estremamente pericoloso. E rischia di congiungersi con quello che c’è in giro nell’Europa. A cominciare dal terribile populismo ungherese al quale la Ue non ha reagito adeguatamente".
E allora mi chiedo se le pensa ancora queste cose? Non è stato selezionato proprio mediante quella "democrazia elettronica" che "è la forma del populismo del terzo millennio" oggetto della sua critica? Allora lo strumento è buono oppure no a seconda del risultato?
Quella democrazia elettronica, senza filtri e in questo caso anche senza numeri (non si conosce il numero di partecipanti e l'entità del consenso di ciascuna candidatura), potrebbe designare, invece di Rodotà, persona degnissima, un personaggio  come, ad esempio, Totò Riina. Secondo quel principio fantomatico di selezione del web professato dal Movimento 5 Stelle i cittadini parlamentari dovrebbero sostenere qualunque candidato individuato senza alcuna possibilità di sindacatura.
E allora le chiedo perché?
Perché non si è proposto come legante tra quel mondo che l'ha scelta e quel mondo cui appartiene o è vicino?
Non mi risponda che si attendeva una telefonata dai dirigenti del Partito. Sa meglio di me che la sua scelta era divisiva per il PD, come tra l'altro, si è dimostrato, qualunque altra. Poteva costruire un punto di dialogo su una figura, anche se diversa dalla sua, proprio nel senso delle parole del luglio 2012. Temo, invece, che abbia giocato, come tanti, solo una partita personale, fino ad ora estranea alla sua storia pubblica.
Con questo non le do alcuna responsabilità per le divisioni tutte interne al Partito Democratico. Divisioni che hanno radici profonde e legate più ad acredini personali piuttosto che a differenze culturali. Temo, però, sia diventato la testa d'ariete del Movimento 5 Stelle per disarticolare l'unico vero partito democratico (al di là del nome) che esiste oggi in Italia.
Per queste ragioni potrà pur diventare il Presidente della Repubblica Italiana ma non sarà mai più il mio Presidente.
La ringrazio pur non sapendo se avrà mai la possibilità di leggere queste righe. 
Le righe di un estimatore sincero ma deluso profondamente dalla sua posizione.
Cordialmente
Valentino Ferrara

giovedì 18 aprile 2013

Caro Bersani ti scrivo

Caro Bersani,
sento il bisogno di scriverti stamattina, in queste ore decisive per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica e del futuro del Partito Democratico.
Ma prima mi presento. Ho 38 anni, faccio l'ingegnere libero professionista, ho avuto precedenti esperienze politiche guidando i DS in un comune della provincia di Caserta con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, dal 2007 non aderisco ad un partito politico. 
Ho sempre votato per il centrosinistra e, da quando esiste il Partito Democratico, per il PD. Alle ultime primarie per la guida del centrosinistra sono tornato a partecipare esprimendo la mia preferenza per Matteo Renzi. Alle scorse elezioni politiche, nel febbraio di quest'anno, ho votato per il Partito Democratico scegliendo di sostenere la tua leadership convintamente. Soprattutto perché, anche se parzialmente, hai avviato un processo di rinnovamento interno, seppur limitato numericamente, grazie alle Parlamentarie.
Dopo le elezioni, ho apprezzato il metodo col quale si è proceduto all'individuazione ed all'elezione dei presidenti delle due camere. Ho anche gradito la proposta del governo del cambiamento rispetto al governissimo con "tutti dentro". La preferenza verso un mondo che ha votato per il Movimento 5 Stelle.
Ho sempre apprezzato la tua onestà, la tua qualità umana e morale che nessuno, all'interno del partito, metteva in discussione.
Ma ieri non ti ho compreso. Non ho compreso la ricerca di un accordo al ribasso con il PDL, incapace di intercettare il proprio elettorato. Non ho compreso l'idea di ricercare il consenso prima fuori che dentro il proprio partito. Non ho compreso la mancanza di una visione, di un'idea. L'ultima volta che si è votato a larghissima maggioranza per un Presidente della Repubblica il designato è stato Carlo Azeglio Ciampi. L'ultima volta, invece, non trovando accordo su una personalità condivisa di livello si è deciso di votare una personalità di parte ma di livello come Napolitano. Ora, invece, cosa si è fatto? Si è scelto la politica del minimo comune denominatore piuttosto che del massimo comune denominatore. Un errore madornale. 
Ti stai assumendo una responsabilità eccezionale. Distruggere il Partito Democratico temo per un'ambizione personale, tu che non hai messo il nome sul simbolo. Rischi di essere l'ultimo segretario del PD, perché se passa Marini il Partito non esiste più, se non passa Marini questa classe dirigente è finita ma, temo, si trascinerà dietro il partito. 
Buona fortuna a tutti noi.

mercoledì 17 aprile 2013

Un Presidente per l'Italia

Oramai ci siamo. Fra poche ore inizieranno le votazioni per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica che, rammentando l'art. 87 della Costituzione, "è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale".
L'elezione di questo Presidente della Repubblica è un'occasione straordinaria per l'Italia. Lo è anche per il Partito Democratico. Una forza politica responsabile, che si candida alla guida di un paese, deve dimostrare in ogni suo atto di avere chiaro l'interesse superiore della nazione. 
Ma un partito deve avere una sua visione, una sua idea. Le sue azioni non possono, nel perseguire un interesse generale, andare in contrasto con le aspettative e le istanze della propria parte. La visione per un partito è il sistema di valori, l'idea di paese e di società, la tutela di interessi di parte all'interno di quelli generali. 
In questo momento, anche per colpa propria, il Partito Democratico si è fatto "mettere in mezzo". E' stato sorpassato, da un lato, dal Movimento 5 Stelle nell'individuazione di figure di grande qualità. Dall'altra si è fatto sorpassare dal Centrodestra nello schema della responsabilità, dell'interesse generale. Un accordo tra nemici per mettere mano alle emergenze del paese. 
Possiamo dire, senza essere contraddetti, che il Partito Democratico pecca di strategia. Quello che conta, però, è il risultato. E' l'unica forza politica parlamentare che può contribuire in maniera determinante, in forza dei numeri, all'elezione del futuro Presidente della Repubblica.
Ecco, bisogna avere coraggio. Scegliere con nettezza quali caratteristiche deve avere il nuovo Presidente della Repubblica. In ogni caso non si potrà avere il consenso di tutti.
Quindi il PD sceglierà di seguire la linea della convergenza con il PDL? Cercherà, invece, il minimo comune denominatore con il Movimento 5 Stelle?
Se il PD va dal PDL tentando di proporre nomi che possano andare bene a Berlusconi, cito ad esempio Amato o Marini, non solo non perseguirebbe la convergenza con i 5 Stelle, ma, soprattutto, non interpreterebbe le aspettative della propria base. Per l'ennesima volta. E se, invece, usasse il coraggio e proponesse una figura oltre gli schemi noti? Sarebbe possibile?
Quale linea sarebbe più condivisibile da parte della base del partito? Quale sarebbe nell'interesse superiore della nazione? E' possibile contemperare in questa fase il consenso della propria parte con l'interesse generale del paese?
La ricerca di una figura che incarni la legalità è di parte o persegue l'interesse generale?
Individuare una figura di strenuo custode dei valori della prima parte della Costituzione persegue interessi di parte o generali?
Eleggere come Presidente della Repubblica una personalità la cui storia personale sia priva di ombre o compromissioni è nell'interesse di parte o generale?
A mio avviso è indispensabile cogliere l'occasione per superare gli schemi tradizionali. Proporre una visione del paese che superi la contrapposizione Berlusconismo-Antiberlusconismo. Non si può percorrere la linea dell'accordo al ribasso con il PDL. Bisogna ricercare la condivisione su una proposta che non solo cambi lo schema ma che trasmetta in maniera chiara una nuova visione del paese. Una visione chiara e netta. E se non si trovasse la condivisione, pazienza. Ci avrebbero provato.
La risposta è semplice, anche se comprometterebbe le aspirazioni dei sostenitori del governissimo PD+PDL+LC+LN. Sostenere un candidato con le caratteristiche citate!
La mia preferenza sarebbe per Romano Prodi. Personalità che, indipendentemente da come la si pensi, ha riconoscimento internazionale ed ha dimostrato le sue capacità come Premier. Ha sancito, durante i suoi governi, le fasi migliori della storia recente dell'Italia sia dal punto di vista sociale che economico. Anche la storia dell'Euro è falsa. Il governo Prodi ha definito le modalità di ingresso. Aveva definito anche dei meccanismi di contrasto alle speculazioni. Il governo in carica all'epoca del passaggio dalla moneta nazionale all'Euro, nel 2002 c'era Berlusconi, avrebbe dovuto vigilare. La storia è li per dimostrarlo. 
Ciò nondimeno ritengo che l'unico candidato innovativo per visione e condivisione non può che essere Stefano Rodotà (in subordine Gustavo Zagrebelsky). In questo i sostenitori del Movimento 5 Stelle hanno avuto il coraggio di perseguire la propria visione della società, indipendentemente dalla possibilità di accordo. E', in questo, la forza delle idee . Se sono buone lo sono indipendentemente dalla trasversalità del consenso e molto spesso, nello schema italico, lo sono proprio per questo.
Il Partito Democratico avrà il coraggio di portare avanti le proprie buone idee?

sabato 13 aprile 2013

Guardare l'Italia da lontano

Il servizio di leva non l'ho fatto. Prima ho rimandato la partenza grazie agli studi universitari. Poi, in conseguenza degli eventi alluvionali del maggio 1998, che colpirono, tra gli altri, i comuni di Sarno, Quindici, Bracigliano e San Felice a Cancello (il mio), ne fui esonerato. Ecco, io non ho fatto il "militare". Sarebbe stato definitivamente abolito il 1 gennaio 2005. 
Quanti di noi hanno ascoltato quelli che ritenevano il "servizio militare" un periodo importante per la formazione di un uomo? Era il primo distacco dal nucleo materno e le prime responsabilità. Si diceva che quell'anno avrebbe formato l'uomo che ognuno di noi sarebbe diventato. 
Perché ho iniziato questo post con questa nota di carattere autobiografico-storico? Perché  guardo l'Italia di oggi, ci vivo, la vedo votare, lavorare e mi sento perso. Mi sento lontano. 
Ho viaggiato molto. Più di una volta mi è capitato di pensare di andare via dall'Italia e costruire il mio futuro lontano. Un pensiero che, anche ora che diventerò padre, non mi ha abbandonato. Quando sei lontano e vedi l'Italia da continenti e culture profondamente diverse, ti accorgi di quanto abbiamo e di quello che ci perdiamo.
Ecco, per tornare alle premesse di questo Post, riterrei necessario sostituire il servizio di leva obbligatorio con il confino extra nazionale obbligatorio. Un anno lontano dall'Italia, ma vedendo e leggendo dell'Italia attraverso lo sguardo di chi vive in quei paesi. Ad esempio, vivere un anno in uno dei paesi del nord Europa dove la tassazione è ai livelli della nostra ma, grazie anche alla quasi totale assenza di evasione, i cittadini ricevono in cambio servizi straordinari.
Ho avuto la fortuna di poter viaggiare. Ho conosciuto continenti e culture lontane. Mi sono innamorato dell'Oriente e delle sue usanze, delle sue religioni, del modo di vivere delle sue genti. 
Ho provato vergogna quando, fuori dai confini nazionali, le persone mi sorridevano conoscendo della mia provenienza. Eravamo famosi per Leonardo Da Vinci, per Dante, per Brunelleschi e anche, molto più modestamente, per il calcio. Ora siamo famosi per la degenerazione della nostra classe dirigente. Siamo famosi per l'evasione fiscale fuori controllo. Siamo famosi per "Berlusconi, eh eh!".
Ecco, tutti dobbiamo provare questa mortificazione. Soprattutto quegli elettori chiusi nei propri egoismi che votano ancora per Berlusconi. 
Ho la sensazione di essere imprigionato in un incubo da 20 anni. 
Spero di svegliarmi quanto prima, soprattutto perché fra pochi mesi avrò la responsabilità di un'altra vita. 
Aiutiamoci a riscattare il nostro futuro!

giovedì 11 aprile 2013

La visione ed il sogno

Sono trascorsi appena sei anni dal 23 maggio 2007 quando, con la nomina del Comitato promotore, si diede vita al processo costituente del PD conclusosi con il suo primo congresso in data 14 ottobre 2007. Eppure quel processo, frutto della visione di alcuni, sogno per tanti elettori del "Centrosinistra senza trattino", sta dando i primi segnali di crisi.
E' una crisi più dei gruppi dirigenti, legati a divisioni tra ex Margherita ed ed DS, che della base elettorale. Il confronto/scontro delle primarie del 2012 tra Bersani e Renzi ha sancito, a mio avviso, l'imbocco di una strada senza ritorno. Le due proposte, al di là di quello che si può pensare, hanno, paradossalmente, rappresentato il momento di massimo superamento delle due identità d'origine. Sia Bersani che Renzi hanno unito, ciascuno per la propria parte, le due anime originarie. Il consenso di Bersani, così come quello di Renzi, hanno raggiunto una trasversalità che mai, prima di allora, si era avuta. Ancora nelle fasi congressuali dell'ottobre 2009, Bersani e Franceschini, i due principali competitori per la guida del partito, rappresentavano due anime del partito che si confrontavano e "si contavano" per la definizione dei posti chiave.
Nel 2012, invece, l'intera classe dirigente del PD, costituita dai notabili provenienti sia dai DS che dalla Margherita, si è unita nel sostegno della candidatura di Bersani. Una straordinaria trasversalità che ha unito tutte le anime del PD. Lo stesso, in realtà, è accaduto per quanti hanno votato per Renzi. In questo caso, invece, è stata la base elettorale a "mischiarsi" nel sostenere la candidatura del sindaco di Firenze.
Il confronto-scontro, il "noi e loro" di cui parlava Renzi, questa volta non era riferito a Ds e Margherita. Era il tentativo di superare il blocco al ricambio di classe dirigente. Un blocco che superasse anche il meccanismo del rinnovamento per cooptazione. Accanto a questa richiesta di rinnovamento vi è anche una nuova proposta di inclusione sociale, un tentativo di superamento delle categorie del '900 e l'offerta di nuove soluzioni di "sinistra" ai problemi della società italiana.
Alcuni tra i sostenitori di Renzi hanno invitato il sindaco di Firenze a rompere gli indugi e ad uscire dal PD per creare un nuovo soggetto alternativo. La goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso sarebbe stata la mancata designazione di Renzi come Grande Elettore della Regione Toscana. Onestamente la mancata nomina non è un caso straordinario, tanto meno tale da far discendere una scissione del PD. Ritengo, invero, che sarebbe stata un'opportunità per il Partito Democratico. Un chiaro segnale di unità. Invece, lo ammetto, si è persa un'occasione e si è dato l'ennesimo segnale di chiusura. Tanto più che sembra la proposta sia giunta a Renzi dai leader regionali del PD piuttosto che conseguenza di una sua specifica richiesta. Un segnale mancato. Peccato, ma nessun dramma. Lo stesso Renzi, amareggiato per la fantomatica "telefonata da Roma", non ne ha fatto un dramma.
Ecco, posso affermare che ho votato per Matteo Renzi alle ultime primarie, come me tantissimi elettori del PD (comunque meno di quelli che democraticamente hanno scelto Bersani), proprio perché ha fatto la sua battaglia chiara, decisa, di alternativa anche radicale ma lealmente incardinata nel progetto del Partito Democratico. Una scelta avvalorata da quanto è accaduto dopo le primarie. Il discorso di "ringraziamento" conseguente alla sconfitta. Un discorso pronunciato mentre era ancora in corso lo spoglio in cui vi è l'immediata accettazione dell'esito delle primarie e ciò senza alcuna polemica. E vi assicuro che, per chi ha visto la macchina delle primarie in azione, l'affluenza ed i numeri in alcuni seggi, qualche polemica la si poteva fare. 
La sua posizione durante la formazione delle liste per il parlamento come dimostrato dalle critiche di disinteresse venutegli da alcuni dei suoi sostenitori. La lealtà dimostrata durante la campagna elettorale. Le dichiarazioni che si sono succedute dopo la sconfitta alle primarie e la stigmatizzazione di quei suoi sostenitori che hanno scelto di uscire dal PD e continuare la loro battaglia da fuori. Famosa la frase critica su quelli che "portano via il pallone".
Queste posizioni sono state e sono la sua forza. Non ci sono possibilità fuori dal Partito Democratico. Gran parte di quelli che lealmente lo hanno votato durante le primarie non lo sosterrebbero. A partire da me. Ma anche quelli che oggi, fuori dal PD, lo vedono come riferimento, ne resterebbero delusi.
L'appartenenza al Partito Democratico per un leader come Matteo Renzi, uno che si candida ad essere il primo della terza repubblica non l'ultimo della seconda, deve essere una scelta di fondo, non di convenienza.

domenica 7 aprile 2013

La solitudine dei numeri primi


Il Partito democratico è stato in grado, per l’ennesima volta in questi ultimi 20 anni, è stato capace di riportare Berlusconi al centro della discussione politica italiana. Ha governato sostanzialmente, direttamente o indirettamente (ad esempio nell'ultimo anno e mezzo di Monti era comunque di maggioranza relativa in Parlamento), negli ultimi 12 anni per 10 anni. Ha portato l'Italia nella condizione attuale. Molti dei sui elettori (circa 6 milioni) lo hanno abbandonato per molteplici ragioni. Era, come si evince facilmente, finito ed abbandonato da buona parte del suo elettorato. 
Anche le prime mosse della nuova legislatura lo avevano isolato. Le candidature di Boldrini e soprattutto Grasso (contrastata dalla candidatura Schifani) alle presidenze delle Camere lo avevano ancora più marginalizzato. Una netta contrapposizione tra visoni del mondo e della società italiana, illuminate dalla contrapposizione al Senato. 
Un modello direi vincente. Non doveva essere abbandonato. Invece, è stato abbandonato per l’incarico di formare il governo. Bersani, assolutamente legittimato dal risultato delle primarie e persona degnissima (dal mio punto di vista), avrebbe potuto lasciare ad un uomo d'area, facendo un passo affianco e guidando il partito fino al nuovo congresso. Un atto di grande generosità. Un atto che lo avrebbe posizionato tra i padri nobili del Partito Democratico. Molti commentatori e politici illuminati lo avevano invitato ad un atto di coraggio. Lui, invece, ha scelto di forzare ed andare a discutere con il M5S proponendo la sua figura. Era facilmente prevedibile l'esito leggendo con quanti epiteti si erano prodigati a dipingere Bersani i leaders e gli attivisti del M5S.
Questa posizione mantenuta con cocciutaggine (anche se Bersani lo nega) ha portato allo stallo politico attuale. In questo contesto sono usciti allo scoperto quelli che nel PD, pur di restare in sella, sono disposti all'alleanza mortale con Berlusconi. Siamo al “Mors tua vita mea!”. La vita di questa classe dirigente del partito al prezzo della morte del PD.
C’è ancora tempo per cambiare il registro. Far lavorare il Parlamento. Alla Camera la coalizione "Italia Bene Comune" ha la maggioranza assoluta e potrebbe approvare qualunque riforma. Al Senato, invece, sui temi sia Scelta Civica che il Movimento 5 Stelle, in particolare, dovranno mettere a nudo le proprie posizioni approvando o bocciando le proposte di cui agli 8 punti di Bersani. Spostiamo la discussione dai nomi alle questioni. Si potrebbero creare anche le condizioni per un governo del cambiamento la cui guida, però, non potrà essere Bersani. Infatti, il tempo e l’immobilismo sta logorando dall'interno il Movimento 5 Stelle. Dopo l’elezione del Presidente della Repubblica si potrebbero creare le condizioni per proporre un nome condivisibile per la guida del governo all'interno del quale possano trovare ospitalità personalità di area. Questa è anche la posizione di alcuni illuminati parlamentari del PD, Civati in testa.
Si pongono ora due questioni cruciali per il futuro dell'Italia e del Partito Democratico:
1) Per l’elezione della Presidenza delle Repubblica bisogna avere coraggio. Ci vuole un nome che riconcili il Parlamento, la Politica ed il Paese. Nessun accordo al ribasso. Neanche bassi calcoli politici di bottega. Sarebbe l’ennesimo disastro della classe dirigente del PD. Ho sentito nomi di ex DC/PPI che acuirebbero il distacco tra paese reale e politica. Ho sentito di consensi in parlamento attorno al nome di Emma Bonino. Sarebbe certamente un ottimo nome. Ma ci sono anche altre personalità dotate di grande esperienza ed equilibrio come Zagrebelsky, Rodotà e Onida. Ma non nascondo che personalmente vedrei con molto piacere il nome di Prodi. Questo dovrebbe avvenire solo se ci fosse il consenso anche di Scelta Civica e del Movimento 5 Stelle. Sarebbe un segnale importante. Un nome per andare oltre.
2) la guida del partito e la candidatura a Premier. Non nascondo la mia preferenza per la premiership di Renzi. E’ l’unico che, oggi, nell'ambito del Partito Democratico ha una riconoscibilità ed un consenso che travalica l’elettorato tradizionalmente di centrosinistra. Se il Partito Democratico si candida a divenire un grande partito di massa che, sul modello delle grandi democrazie occidentali con sistemi elettorali maggioritari, deve contenere diverse sensibilità, deve aprirsi alla società italiana. Deve superare gli schemi del ’900 ed interpretare i cambiamenti intervenuti nel tessuto sociale del nostro paese. L’unico che, oggi, può farlo è Matteo Renzi. Allo stesso tempo ritengo che il Partito debba essere guidato da un’altra persona. Tanto più se fosse un governo di coalizione. C'è bisogno di un Partito Democratico con voce autonoma rispetto al governo. Per questo vedo Civati che, nello spirito delle prima Leopolda, recuperi il rapporto con il mondo di Matteo Renzi e guidi il partito verso la sua reale dimensione.
E’ un sogno? Ci vorrebbe poco per realizzarlo.

mercoledì 3 aprile 2013

La posizione del Movimento 5 Stelle ed il reato di omissione di soccorso

Ascolto molte voci provenire dalla pancia del Movimento 5 Stelle che, per giustificare il rifiuto ad ogni apertura da parte delle altre forze politiche parlamentari (in particolare dal PD), parlano di impossibilità del confronto con i rappresentanti della politica irresponsabile ed inaffidabile alla luce di quanto dimostrato negli ultimi 20 anni. Dichiarano, quindi, una sostanziale indisponibilità del Movimento a "mischiarsi con quella classe dirigente".
Personalmente non ho mai pregiudizi e ragiono con tutti e di tutto. Quello che in questa fase della nostra vita politica appare surreale ed incomprensibile è l'atteggiamento di estraneità da parte degli attivisti a 5 Stelle. Ragionamento non applicabile all'elettore comune, che costituisce la gran parte del consenso del Movimento, che chiede di attivare, da subito, le politiche del cambiamento.
Con alcuni degli attivisti più irriducibili e puristi ho affrontato la questione della responsabilità del governo, A questa esortazione mi rispondono che da un lato sono pronti ad un fantomatico "Governo a 5 Stelle", senza però proporre dei nomi cui affidarne la guida (soprattutto perché non avendo i numeri in parlamento devono ricercare un consenso) o tentare una sintesi programmatica con qualcuna delle forze politiche parlamentari, e dall'altro dichiarano la indisponibilità a qualunque possibilità di sostegno preventivo a governi "dei partiti" perché non si fidano e, tra l'altro, non sono i responsabili di questa situazione.
Come ho avuto modo di dire loro non esiste soltanto il reato di omicidio colposo ma esiste anche quello di omissione di soccorso. Si potrebbe convenire che le colpe dello stallo socio economico del nostro paese siano da ricercare nelle politiche degli ultimi governi. Non è però condivisibile il disimpegno che è, a mio avviso e in questo momento, la cosa peggiore da fare.
Se io avessi la possibilità di incidere e non lo facessi da subito, in tutti i modi possibili, sprecherei un'occasione straordinaria. Un'occasione che, a mio avviso, non si ripeterà più, per lo meno con un consenso così largo per alcune delle politiche sociali proposte dal Movimento. 
Si può perdere quest'occasione per cecità o finta coerenza?