giovedì 25 aprile 2013

Chiamiamola grande sinistra o centrosinistra, ma facciamolo insieme e senza tabù

Il 20 aprile scorso, dopo la rielezione di Napolitano alla Presidenza della Repubblica, usciva questa agenzia:
"Dopo la ricandidatura di Giorgio Napolitano al Quirinale Sinistra, ecologia e libertà è 'impegnata a ricostruire dalle fondamenta una sinistra di governo': lo ha detto Nichi Vendola in una conferenza stampa a Montecitorio nella quale ha annunciato: 'L'otto maggio a Roma convocheremo la prima assemblea di popolo per lanciare questo nuovo percorso, questo cantiere'. Ai cronisti che domandavano se Fabrizio Barca del Pd convergerà, Vendola ha risposto: 'Tutti coloro che dopo lo schianto del Pd sono interessati, sono benvenuti'. 'Non lavoro e non lavoravo a svuotare il Pd, ci pensa qualcun'altro', ha detto Vendola, 'non lavoriamo ai fianchi del Pd per sfilare due o tre parlamentari, ma siamo curiosi di sapere dove andrà il Pd'. Sel, ha precisato Vendola, intende 'accelerare i tempi' per l'adesione al gruppo del Partito socialista europeo all'Europarlamento". 
Immediatamente dopo questo annuncio veniva sondato l'elettorato sull'ipotesi di un voto con la presenza di due liste a sinistra. Un PD guidato da Renzi ed un partito di sinistra guidato da Vendola, Barca e Landini. Il PD veniva quotato al 35% mentre il nuovo partito della sinistra veniva quotato all'11%. Quindi, elettoralmente, basandoci esclusivamente sui sondaggi, questa scissione porterebbe il Centrosinistra ad una crescita di circa 16 punti percentuali rispetto alle ultime elezioni politiche. 
Il tema vero, però, è quale sinistra vogliamo costruire o ricostruire. Potrebbe convenire  elettoralmente avere due sinistre, ma è giusto? Serve all'Italia ed alla parte di popolazione cui ci si riferisce?
Dico la mia. Non voglio discutere del sistema di valori che unisce tutti noi. Quelli, insomma, della prima parte della costituzione. Quella dei diritti umani, civili e sociali. Quella dell'inclusione sociale. Quella del rispetto delle diversità. Quella della garanzia dei più deboli. Su questo concorderemmo facilmente. 
Non voglio discutere neanche delle forme di partecipazione al partito cui ha dedicato molto tempo il ministro Fabrizio Barca e sulle quali concordo.
Voglio discutere dell'idea di costruire un grande partito delle sinistre. Un partito, non massimalista, che contenga tutte le anime della sinistra. Da quella liberale, a quella egualitaria, a quella socialista o socialdemocratica fino ad arrivare alla sinistra più ideologica ma responsabile.
La mia sinistra si deve proporre come scopo assoluto quello di lavorare per giungere alla reale applicazione di quanto previsto dall'articolo 4 della nostra Costituzione "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto".
Lo dico chiaramente, a me non interessa una sinistra pura che non incida. Che a costo della propria purezza non si ponga il tema del governo. Che non ponendosi il tema del governo deleghi agli altri l'onere della scelta.
Serve una sinistra che, per la stessa nuova articolazione della società italiana, assolva ad una responsabilità profonda e non ideologica. Vendola, ad esempio, pur simbolo di una sinistra molto ideologica, è profondamente diverso dai partiti della cosiddetta Sinistra Arcobaleno. Una Sinistra, quest'ultima, che punta più alla propria purezza che a concorrere alla soluzione dei problemi della società italiana. Una società profondamente diversa da quella uscita dal dopoguerra. La sinistra, quindi, non può essere più quella del '900.
Diciamolo chiaramente ancora una volta. Quella sinistra ideologica massimalista (ed io sono di sinistra) nasce da una società post bellica in cui al tema della crescita economica si doveva far corrispondere il tema delle condizioni di lavoro. Garantire condizioni di lavoro di qualità. Garantire la dignità del lavoro. E' un tema, questo, che si stanno ponendo, ad esempio, nei paesi in via di sviluppo. Dove la crescita economica sta portando, più velocemente che nell'Europa del secolo scorso, ad una richiesta di diritti generalizzati.
Noi, invece, siamo in una società in profonda recessione. Ci sono parti della società italiana, soprattutto giovani e donne, espulse dal sistema produttivo e senza alcuna speranza di rientrarvi a breve. Molti non cercano neanche più lavoro.
Non si può pensare che lo Stato si possa sostituire all'iniziativa privata. Le cosiddette partecipazioni statali sono state fallimentari. Ci vuole uno stato più leggero, più sostenibile. Uno Stato regolatore, non attore, che intervenga, però, quando necessario.
Siamo un paese che vive di spesa pubblica. Lo abbiamo visto chiaramente. La riduzione delle spesa pubblica di questi anni, per effetto soprattutto delle politiche di riduzione del deficit richieste dalla Comunità Europea, ha contratto la circolazione di moneta interna ed ha ridotto i consumi avvitando l'economia italiana in una recessione molto peggiore rispetto a quella degli altri paesi europei. In sostanza in Italia abbiamo avuto una crisi generata sia da fattori internazionali (la crisi del sistema finanziario) sia da fattori interni (la contrazione della spesa pubblica).

Sono anni che nessun governo, l'ultimo è stato il primo governo Prodi, non mette in campo serie politiche industriali nazionali. Il tutto condito da un'altissimo costo del lavoro cui, paradossalmente, corrispondono basse remunerazioni per i lavoratori (si osservi la tabella).
La classifica dell'Ocse sul costo del lavoro
Contribuisce anche un'altissima tassazione che incide su una base imponibile ridotta dalla paurosa evasione fiscale. Questo ha ingenerato un'economia prevalentemente basata sui servizi, che vive di spesa pubblica.
Le uniche aziende che continuano a produrre in Italia, sono quelle del settore del lusso, dell'abbigliamento, del made in Italy. Queste aziende grazie alle  esportazioni non sono in crisi perché concorrono sulla qualità dei prodotti, non sul prezzo.
La mia sinistra deve porsi il problema di migliorare la vita delle persone, di tutte le persone. Invece, la sinistra viene percepita come quella che tende a garantire solo chi il lavoro ce l'ha già.
Non sto dicendo che la mia sinistra debba consentire il proliferare di lavori sottopagati, insicuri e di scarsissima qualità. E' in questo sistema che proliferano i Call Center, in cui i lavoratori sono costretti a lavorare per pochi euro al giorno. E' in questo sistema che vediamo la nascita di tante cooperative di lavoratori all'interno delle aziende per aggirare i vincoli ai licenziamenti. Bisogna rivoltare il concetto di lavoro. Si può aspirare ad un sistema del lavoro che premi i lavori di qualità? Che introduca riduzioni del cuneo fiscale per quelle aziende che migliorano le condizioni di lavoro dei propri dipendenti? Che investono in sicurezza? Che aumentano l'incidenza del costo della manodopera rispetto al fatturato? Che riducono i tempi di pagamento dei fornitori, a patto che la pubblica amministrazione rispetti i suoi?
Ma per fare questo bisogna abbattere qualche tabù. Bisogna accettare la flessibilità del lavoro, quella di qualità e soprattutto accompagnata da un sistema di tutele e di assistenza che accompagni il lavoratore da un lavoro all'altro. Non esistono contratti che, in questa fase, garantiscano il lavoro a tempo indeterminato. Le aziende falliscono ed i lavoratori restano senza lavoro e senza le ultime retribuzioni ed il TFR.
Nessuno, però, può abbattere le forme di tutela dei lavoratori nei confronti dei licenziamenti senza giusta causa. Si può discutere delle conseguenze per l'azienda e per il lavoratore. Il reintegro disposto da un giudice non lo ritengo, oggettivamente e per conoscenza diretta della questione, una soluzione. Cosa diversa è la leva economica. Tramutare il licenziamento del lavoratore in un'indennità, quando non dettato da una giusta causa.
Dobbiamo abbattere i tabù per rimuovere gli ostacoli alla crescita economica ma fare in modo che il benessere conseguente raggiunga tutti.
Lo Stato, dopo una cura dimagrante, deve fungere da regolatore ma non può essere un attore. Ovviamente, per quanto mi riguarda, la Sanità, l'Istruzione e la gestione dei "Beni Comuni" non possono che essere solo pubblici. Non può esserci privato. Non si possono sottomettere questi temi alle dinamiche del mercato e del profitto.
Lo Stato deve, quindi, occuparsi di garantire a tutti i cittadini italiani condizioni minime di sopravvivenza introducendo, ad esempio, il reddito minimo garantito.
Ecco, la mia sinistra dovrebbe essere questa. Dovrebbe lavorare veramente al miglioramento delle condizioni di vita di tutti rimuovendo le cause ostative.
Da queste premesse, per me, dovrebbe rinascere il Partito Democratico.

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